martedì 26 marzo 2013

L'orto biologico




Da bambina mi piaceva moltissimo osservare la natura soprattutto in primavera, dopo il lungo letargo invernale, vedevo alberi e piante risvegliarsi, i piccoli germogli spuntare dalla terra  ancora indurita dal gelo dell’inverno e  le primule gialle e rosa occhieggiare assieme alle viole. Ricordo che in seconda elementare la maestra ci aveva insegnato come far germogliare i fagioli e le lenticchie tenendoli semplicemente sotto un po’ di cotone inumidito con acqua, ero incantata, davvero con così poco lavoro nel giro di pochi giorni spuntavano piccole piantine da semi che parevano secchi e privi di vita! Avevo riempito la mia camera da letto con queste coltivazioni improvvisate sotto il cotone!
Avevo dimenticato poi crescendo quella meraviglia, quello stupore innanzi all'incanto di un seme che germoglia, ma ci hanno pensato i miei bambini a farmi tornare la memoria. Davvero non è mai troppo presto per osservare assieme ai nostri figli la natura e per provare a dare vita ad una nuova pianta con loro, è divertente per loro e rigenerante per noi. Noi abbiamo la fortuna di possedere un giardino ma si può creare un angolo verde anche sul balcone di casa e se proprio non c’è il balcone, basta un davanzale per coltivare almeno dei germogli.
L’anno scorso quindi ho deciso di progettare un piccolo orto biologico in giardino, sono partita con poco, un fazzoletto di terra di pochi metri, e una volta rivoltata la terra abbiamo atteso la fine di aprile per procurarci semi e piantine. Con i miei bambini siamo andati a scegliere le verdure che avremmo ospitato nel nostro orticello, è stato divertente vedere come i bambini prendevano la cosa con la massima serietà ed ognuno di loro dava il suo parere in base a quello che poi voleva mangiare, è sì, perché il bello dell’orto è soprattutto la raccolta che si fa alla fine dei frutti!
Con l’inesperienza dei principianti abbiamo preso un po’ di tutto: piante di zucchine, pomodori, insalata, peperoni, peperoncini (per il papà che ne va ghiotto), erbe aromatiche, sedano e prezzemolo. Una o due piante per tipo, e dieci piante di pomodori assortiti. Una volta preparata per bene la terra è facilissimo interrare le piccole e tenere piante di ortaggi, i miei bambini muniti di paletta facevano la buca agilmente, assieme si sistemava la piantina e poi innaffiavano personalmente. Ogni mattina prima di procedere con qualsiasi altra attività c’era il rituale di “andare a vedere cosa era successo di nuovo nell'orto”, non potevo immaginare all'inizio che un orto, soprattutto se ospita piante di vario tipo, riserva quasi ogni giorno delle piccole sorprese, perché cresce davvero in fretta. Ricordo che alla prima zucchina spuntata la mia bimba ha saltellato di gioia! Alla fine tutte le piante, nessuna esclusa, sono cresciute rigogliose ed hanno fornito dell’ottima verdura fino a ottobre inoltrato (quando ho colto gli ultimi pomodori), non chiedetemi come ho fatto perché non ne ho idea, non ho ovviamente usato nessun concime chimico e nessuna sostanza, sono solo stata attenta a tenere lontane le lumache, i pomodori ad un certo punto hanno preso i pidocchi delle piante, ma hanno prodotto ugualmente una quantità tale di frutti che ne ho ricavato anche qualche vasetto di conserva! Quest’anno ovviamente si replica e ci ingrandiamo, abbiamo già prenotato le piantine di fragole perché l’anno scorso ad aprile erano terminate e poi appena la temperatura sale un pochino si comincia ad interrare.
 
Le mattinate passano piacevoli e veloci con paletta alla mano, terriccio da smuovere, piantine da coltivare, i bambini possono poi scoprire pian piano come nascono molte delle verdure e dei frutti che mangiano regolarmente… non c’è pomodoro, o fragola o zucchina più buona di quella che si è appena colta personalmente dalla pianta!


lunedì 25 marzo 2013

Il bambino autonomo





Sembra essere diventato uno di quei temi molto di moda adesso, si discute di autonomia del bambino un po’ ovunque, in televisione, su libri più o meno supportati da pareri scientifici, su articoli, su internet. Spesso i neo genitori hanno davvero troppi dubbi in merito all'autonomia del proprio bambino, perché troppo spesso vengono giudicati in base “a quanto il loro bambino è autonomo e indipendente”, e questo accade sin dai primi mesi di vita del neonato, non è inusuale per una neo mamma sentirsi dire infatti:” ma come! Dorme con te?! Ma così non si abituerà mai ad essere davvero autonomo, non importa che abbia solo un mese di vita, mi raccomando le buone abitudini devono essere insegnate da subito!”.
 All’asilo nido e alla scuola materna spesso un genitore che chiede tempi flessibili per un “inserimento dolce” per evitare distacchi troppo traumatici dal proprio figlio o semplicemente perché desidera non dover lasciare il proprio bambino in un pianto disperato prima di andarsene, è esortato a tenere un comportamento “dolce ma fermo”, a lasciare il bimbo all'educatrice senza mostrarsi preoccupato o dispiaciuto, poiché in questi casi il bambino evidentemente è ancora troppo attaccato alla figura genitoriale. 
Anch’io con la mia prima bambina sono incappata nel dilemma dell’autonomia, fin dai primi mesi di vita. La pediatra mi aveva infatti esortato ad allattare a richiesta (ossia ad allattare mia figlia tutte le volte che lei desiderava), e questo valeva sia per il giorno sia per la notte, ma contemporaneamente dovevo abituare la bimba a dormire nella sua culla, che inizialmente per i primi mesi sarebbe stata nella mia camera da letto e successivamente sarebbe stata spostata nella cameretta. Il parto mi aveva lasciata esausta, avevo bisogno di recuperare forze e lucidità e dovevo occuparmi della mia bambina, qualsiasi mamma sa quanto possono essere duri i primi mesi dopo il parto. Durante la notte mi alzavo per allattare la bimba che sembrava proprio non voler dormire più di tre  ore di fila (al tempo mi sembrava assurdo, tutti i bambini dormono tutta la notte! Ne riparleremo…), allattavo seduta per non rischiare di riaddormentarmi con la bimba nel lettone (sia mai!) e per riporla nella culla una volta terminata la poppata, la bimba si riaddormentava poppando, ma io? Io no, alla fine della poppata ero così sveglia che potevo impiegare anche due ore prima di riprendere sonno e ormai era già ora della poppata successiva. “Stranamente” se prendevo la bimba a dormire con me, riuscivo ad allattare quasi nel dormiveglia senza svegliarmi completamente e il mattino seguente mi sembrava di essere più riposata, la bimba non aveva tempi di attesa per poppare, appena si svegliava aveva il seno a disposizione, anche lei dormiva meglio senza veri e propri risvegli. Alla fine ho ceduto al mio istinto di sopravvivenza, mi sarei posta più avanti il problema dell’autonomia nel dormire, io avevo bisogno di riposare, mio marito aveva bisogno di riposare, la bimba aveva bisogno di poppare e di riposare, per cui ho cominciato a dormire con mia figlia e ad informarmi.
In realtà non è da molto tempo che i bambini “devono abituarsi a dormire da soli”, se pensiamo alla generazione dei nostri nonni e in molti casi anche a quelle dei nostri genitori era abbastanza raro possedere due o più camere da letto, un elevato numero di stanze per dormire era prerogativa dei ceti più abbienti, generalmente si facevano più figli di adesso e necessariamente si doveva condividere il sonno con altri famigliari. Mia nonna materna aveva 8 fratelli, mio padre ne aveva cinque, mia madre quattro, non vivevano in palazzi e immagino che fosse assolutamente normale per i genitori dormire con i bimbi più piccoli e per i fratelli condividere la stanza con altri fratelli, e malgrado questa “promiscuità” sembra che la loro generazione venga portata sempre come esempio, mentre la nostra generazione di bimbi abituati fin da subito a dormire da soli siano i così detti “bamboccioni” che non se ne vanno di casa se non dopo i 30 anni, qualcosa non torna vero? L’asilo nido e la scuola materna sono “conquiste” anch’esse recenti, i miei nonni non hanno frequentato ne l’asilo nido, ne la scuola materna, semplicemente non esistevano ( a parte qualche struttura pioniera per i bambini di famiglie operaie e centri gestiti dalle parrocchie), la mamma generalmente era a casa e si occupava dei bambini, solo  quando il lavoro femminile ha cominciato ad essere una realtà per la maggior parte delle donne sono comparsi i primi asili. Prima di allora il bambino stava a casa a contatto con la mamma, fratelli e famigliari fino all’età scolare, e solo in quel momento avveniva il primo vero e proprio “distacco”. Certo, un po’ di batticuore il primo giorno di scuola credo che lo abbiano avuto tutti, ma chissà perché ho l’impressione che a sei anni si possa vivere questo evento con molta più serenità e consapevolezza che a sei mesi o a tre anni. Oggi i bambini devono gestire la separazione dalla mamma sempre prima, molti già dopo la fine della maternità obbligatoria vengono lasciati alle cure di educatrici di asili nido o baby sitter, hanno solo tre mesi. Anche a tre anni, età in cui normalmente si inizia la scuola materna, non è detto che per il bambino sia semplice e scontato gestire il distacco, pensiamo solo alla concezione del tempo che possiede il bambino, un bambino di sei anni è in grado di capire perfettamente quando gli si dice “ la mamma ti viene a prendere dopo pranzo, tranquillo!”, ma un bambino di un anno e mezzo e spesso anche uno di tre anni non possiede ancora questo concetto, vive il presente e conosce solo il  presente, il dopo non ha senso per lui, che gli si parli di cinque minuti o di cinque anni per lui è uguale, per cui nel momento in cui viene separato dalla mamma lui sa solo che lei non c’è più. Certo con il tempo, capirà che la mamma torna anche se a volte scompare per qualche motivo, ma appunto ci vuole tempo, ed ogni bambino ha i suoi tempi. Il rispetto dei tempi di maturazione di ogni bambino è fondamentale ai fini della sua autonomia, un bambino costretto troppo presto all’indipendenza potrebbe essere un futuro bambino “troppo dipendente” dagli altri, al contrario un bambino che ha ciò di cui ha bisogno (e intendo bisogni primari) nel momento in cui ne ha bisogno non avrà più necessità di chiedere più avanti la stessa cosa.

Il pediatra Carlos Gonzales in uno dei suoi libri (Besame Mucho, Coleman Editore)  spiega molto chiaramente tutta l’incoerenza che si nasconde a volte nella nostra pretesa di avere figli autonomi e indipendenti: “ tutti vogliamo figli indipendenti! Che si alzino e vadano a dormire quando ne hanno voglia, che facciano i compiti solo se gli va, che decidano da soli se vogliono andare a scuola, che si mettano i vestiti che più gradiscono, che mangino ciò che vogliono…. Ah no! Non questo tipo di indipendenza. Vogliamo che i nostri figli siano indipendenti, ma che facciano esattamente quello che gli diciamo. O meglio, che indovinino ciò che pensiamo e che facciano ciò che vogliamo senza bisogno di dire niente. Così tutti noteranno che siamo degli ottimi genitori, che concediamo loro molta libertà e che non diamo ordini…. Quando molta gente dice” voglio che mio figlio sia indipendente “ vuole dire in realtà “ voglio che dorma da solo e senza chiamarmi, che mangi da solo e molto, che giochi da solo e senza far rumore, che non infastidisca, che quando me ne vado e lo lascio con un’altra persona sia contento”. Ma questo non è un obiettivo ragionevole né per un bambino né per un adulto….. Abbiamo bisogno degli altri e gli altri hanno bisogno di noi. Un essere umano adulto deve essere capace di chiedere e ottenere l’aiuto degli altri per raggiungere i suoi fini, e di prestare aiuto agli altri quando glielo chiedono. Più che indipendenti, siamo interdipendenti…. Quando tu dedichi attenzione a tuo figlio, gli stai insegnando a essere indipendente. Dopo una separazione (una malattia, il lavoro della madre, l’inizio dell’asilo), il bambino diventa più dipendente, ha bisogno di una maggiore quantità di coccole, di maggiore contatto, non vuole separarsi nemmeno per un momento dalla madre. Se gli dai il contatto di cui ha bisogno, finirà col superare la sua insicurezza; se glielo neghi, il problema diventerà sempre più grave. Quando un bambino smette di chiamare la madre perché non ne ha più bisogno, non è come quando smette di chiamarla perché sa che, per quanto la chiami, lei non gli presterà attenzione.”


domenica 24 marzo 2013

Le emozioni dei bambini


“ Le emozioni dei bambini” di Isabelle Filliozat
Piemme edizioni

A questo libro sono particolarmente legata, mi è capitato tra le mani per puro caso quando ero in attesa della mia prima bambina, il mondo dell’infanzia mi era ancora praticamente sconosciuto (quanto presto si fa a dimenticare la nostra personale infanzia, e quanto ricordarla ci sarebbe d’aiuto nel crescere i nostri figli!), al tempo avevo letto qualcosa sulle dinamiche del parto, su come alimentare i neonati, su come cambiarli, nemmeno immaginavo che la parte più complessa e più importante del mio nuovo compito di mamma sarebbe stata invece capirli ed entrare in sintonia con loro. Isabelle Filliozat è una psicoterapeuta francese di fama ed è mamma di due bambini, in questo libro spiega con semplicità e competenza che cosa prova il neonato e il bambino, ci aiuta ad entrare nel loro mondo fatto di emozioni e di istinti  e a coglierne tutta la bellezza, personalmente però mi ha aiutata ricordare la mia infanzia a rivivere anche momenti meno sereni e a comprenderli, ad entrare in contatto con la parte di me che avevo cercato di dimenticare e che inevitabilmente viene nuovamente a galla quando si diventa genitori, i bambini sono bravissimi nel risvegliare emozioni sepolte da anni. Capire la bambina che sono stata mi è servito tantissimo per poter imparare a conoscere i miei figli.  Isabelle Filliozat inizia il suo libro così “ Avere l’intelligenza del cuore significa non solo saper amare e capire gli altri, ma anche essere capaci di rimanere se stessi in tutte le situazioni che la vita ci presenta, sia quelle piacevoli sia quelle dolorose. Si tratta insomma della capacità di essere felici, di non lasciarsi dominare dalle avversità, di scegliere la propria vita e di stabilire relazioni armoniose con gli altri. Chi non desidera questo per i propri figli?” 
Si è esattamente ciò che voglio per i miei bambini, questo è quello che auguro loro davvero!

Besame Mucho ... tutta la vita!


“ Bèsame mucho” di Carlos Gonzàles 
Coleman editore

E’ uno di quei libri che ho riletto più volte, è un vero e proprio inno all’amore tra genitori e figli. Gonzales è uno stimato pediatra di Barcellona ma è anche padre di tre figli e tra le righe dei suoi libri si ha la sensazione che a scrivere non sia solo il medico ma anche il papà. In Besame mucho ho personalmente trovato conferme a quello che il mio istinto materno mi suggeriva di fare, ho trovato spiegazioni esaurienti e scientifiche che smontano tabù e pregiudizi radicati, ho attinto speranza e rinnovato entusiasmo per vivere meglio la mia nuova condizione di madre. Questo libro non insegna metodi, non fornisce decaloghi o regole generali (per fortuna!), anzi Gonzales per primo non crede nei metodi e nelle regole per crescere i bambini, ma li conosce profondamente e li descrive in questo libro con sentimento, con il suo delicato umorismo e con competenza…. Grazie a questo libro ho cominciato ad osservare con più attenzione i miei figli, ad ascoltarli, ho capito molti aspetti della loro fisiologia che mi erano del tutto oscuri, ho avuto un ulteriore conferma di quello che già sapevo in cuor mio: i miei bambini sono  amore, sono unici, autentici, coraggiosi, spiritosi, generosi, intelligenti, disinteressati…  a me spetta il compito di aiutarli per  continuare ad essere così anche negli anni a venire.

Risotto Goloso





Questo risotto è un primo piatto sostanzioso ma molto digeribile, spesso mi risolve la cena ed è apprezzato molto da tutti in famiglia.

Ingredienti per 4 persone:

300 gr di riso per risotti (tipo arborio)
1 cipolla piccola
1 patata
2 zucchine di media grandezza
Olio d’oliva
Sale
1 litro di brodo vegetale
Formaggio asiago dolce


Prima di tutto preparate già sul fuoco un pentolino con il brodo vegetale che potrete fare sia con un dado vegetale (meglio se biologico) oppure lasciando bollire in acqua una carota, una gamba di sedano e mezza cipolla con un po’ di sale.
Tritate finemente la cipolla e mettetela a soffriggere con un po’ d’olio in una grande padella antiaderente dai bordi alti (la padella antiaderente facilità la lavorazione del risotto perché non si attacca facilmente). Tagliate a piccoli pezzettini la patata e le zucchine e aggiungetele alla cipolla, lasciate insaporire le verdure per qualche minuto e aggiustate di sale.
Aggiungete quindi alle verdure il riso e fatelo tostare per qualche minuto, a questo punto aggiungete un poco alla volta il brodo (che continuerete a far bollire su un fuoco a parte), fino a portare a cottura il riso (serviranno dai 13 ai 17 minuti per una cottura al dente, dipende ovviamente dal tipo di riso che state usando). Quando il risotto sarà cotto spegnete il fuoco (il risotto dovrà risultare molto morbido “all’onda” come si dice, eventualmente mettete ancora un poco di brodo) e aggiungete il formaggio asiago a piacere tagliato a piccoli pezzi, mescolate fino a far sciogliere il formaggio che oltre a mantecare il risotto darà al piatto la nota golosa.

Se lo gradite potete grattugiare su ogni piatto anche un po’ di formaggio grana, ma assaggiate prima perché il risotto è già molto saporito anche senza. La patata inoltre gli fornisce ancora più cremosità. Ho scelto l’Asiago per mantecare il risotto perché secondo me si sposa benissimo con il sapore della zucchina.

I Pancakes





Non mi interesso di cucina americana, né la conosco bene, però mi sono sempre chiesta che gusto avessero quelle specie di frittatine servite per colazione e cosparse di sciroppo d’acero. Ho trovato e provato alcune ricette in internet e devo ammettere che ho scoperto un nuovo modo gustoso per fare colazione. Solitamente nei fine settimane preparo i pancakes per colazione, sono veloci da fare e possono essere farciti anche in modo più “italiano” (io lo preferisco ) con la marmellata, il miele o la crema di nocciole… per i miei bambini è già festa quando si svegliano e sentono il profumo di queste specie di crepes morbide e farcite a dovere!
Vi propongo la ricetta che secondo me da il risultato migliore.        

Ingredienti:

latte 200 ml
farina 120 gr
1 uovo
Burro 30 gr
Zucchero 1 cucchiaio
Lievito per dolci 1 cucchiaino
Bicarbonato 1 cucchiaino
Un pizzico di sale
(a piacere una bustina di vaniglina)

Molto semplicemente si versano tutti gli ingredienti in una ciotola, avendo cura di ammorbidire prima il burro (lo si può fare anche con il forno a microonde, altrimenti lo si toglie dal frigo una mezzora prima di usarlo) e si lavora il tutto con una frusta fino ad ottenere un composto denso e omogeneo e senza grumi.
Scaldate quindi una padellina antiaderente (quella che si usa per le crepes per esempio è perfetta), di solito si consiglia di prelevare la quantità di un cucchiaio dall’impasto creato, ma io uso un mestolino e prelevo una quantità maggiore per farne un pancakes un po’ più grande (in questo modo ho il vantaggio di farne meno e di metterci meno a cuocerli… i bimbi si sa sono impazienti!), si versa la quantità desiderata al centro della padellina già calda e lasciate che il composto si espanda da solo. A fuoco medio, si lascia quindi cuocere il pancakes fino a quando sulla superficie si cominciano a formare delle piccole bolle, a questo punto con l’aiuto di una spatolina si gira il pancakes e lo si lascia cuocere anche dall’altro lato per due minuti circa (ma controllate sempre che il fuoco non sia troppo alto e che l’interno non sia ancora crudo). Una volta cotto adagiate il pancakes su un piatto e continuate a cuocere gli altri nello stesso modo fino ad esaurire l’impasto.
Impilate pure i pancakes uno sopra l’altro man mano che li cuocete, resteranno tiepidi più a lungo.


Il conflitto




Personalmente non ho ricordi di veri e propri conflitti nella mia famiglia d’origine, non ho mai visto i miei genitori discutere animatamente, non li ho mai visti litigare, sembravano sempre essere d’accordo su tutto, una volta soltanto li ho sentiti parlare con tono leggermente più elevato del normale (avevo probabilmente cinque o sei anni al tempo) e subito dopo mio padre è uscito a camminare da solo, era sera, e la cosa era davvero inusuale, ricordo perfettamente di essermi impressionata, pensavo che fosse successo qualcosa di grave tra di loro, ma il giorno dopo si sorridevano affettuosamente come sempre. Io e mia sorella ogni tanto bisticciavamo e ricordo che mia mamma a volte si arrabbiava, ma questi piccoli conflitti si risolvevano nel giro di pochi minuti e l’armonia tornava sovrana molto presto. Ho chiesto a mia mamma (anche lei mamma a tempo pieno per scelta durante la nostra infanzia) se ricordava delle particolari difficoltà nell’accudirci tutto il giorno, io e mia sorella abbiamo soltanto un anno di differenza e immagino che da parte sua possa esserci stata a volte della stanchezza o dei momenti in cui non si sentiva “in sintonia” con noi bambine, ma lei mi ha risposto che eravamo bambine piuttosto ubbidienti e che tutto sommato ci comportavamo bene. La situazione  non è cambiata nemmeno durante la mia adolescenza: non nego di aver messo in discussione  scelte e  atteggiamenti dei miei genitori, credo sia normale, crescendo e maturando si comincia a dare voce alle proprie idee, prendono forma le proprie convinzioni, il proprio modo di vedere la realtà e giustamente non è scontato che questo modo di percepire la realtà sia uguale a quella dei nostri genitori, però i conflitti e le discussioni in famiglia non sono aumentati, ne sono diventati più difficili da “sedare”. Ricordo che mio padre ogni tanto ci scriveva lunghe lettere per comunicarci qualcosa in merito al nostro comportamento che lo aveva deluso o preoccupato, generalmente si trattava di temi importanti come il rendimento scolastico o il modo in cui volevamo trascorrere il nostro tempo libero, queste lettere terminavano anche con una serie di condizioni per ovviare al problema sollevato. Questo modo di comunicare però aveva grossi svantaggi: negava a priori il dialogo, era infatti un tipo di comunicazione a senso unico, personalmente se non ero d’accordo con quanto mio padre mi scriveva dovevo o rispondere alla lettera con un’altra lettera o assumermi la responsabilità di avviare un dialogo in un secondo tempo, anche se non ero stata io a volere il confronto. Non metto in dubbio la buona fede di mio padre, probabilmente cercava di ricavarsi un po’ di tempo mentre lavorava per scriverci, e mio padre lavorava davvero moltissimo, ma ora sono davvero convinta che sarebbe stato meglio fare uno sforzo in più e trovare comunque il tempo per dialogare. Durante il periodo del liceo ricordo che avevo timore  di confrontarmi con i miei genitori, temevo infatti il loro giudizio e di rovinare l’armonia famigliare, mi dispiaceva molto vedere contrariati i miei i genitori ed ero convinta che a loro dispiacesse discutere su questioni, valori o convinzioni che magari davano per scontato essere condivisi anche da me. Questo mi ha portata a volte a fare le cose di nascosto e  evitare  le discussioni anche a costo di non far presente quello che realmente volevo o pensavo.

Oggi che sono mamma e moglie ho capito che i conflitti e le discussioni non sono solo normali ma sono anche importantissimi. Ci ho messo un po’ per arrivare a questa conclusione, all’inizio del mio matrimonio discutevo spesso con mio marito, abbiamo avuto bisogno di un po’ di tempo per trovare il nostro equilibrio, per capire cosa ci aspettavamo quotidianamente l’uno dall’altro e per capire che “aspettarsi qualcosa dall’altro” senza comunicarcelo era assurdo. Ognuno di noi ha fatto esperienze diverse, ha gusti diversi, ha una sensibilità diversa, è davvero pericoloso dare per scontato che gli altri possano capirci al volo e ragionare nello stesso modo nostro, eppure sia con il partner sia con i figli (piccoli e grandi) commettiamo spesso questo errore: ricordo che davo per scontato che mio marito mi aiutasse nelle incombenze domestiche, dopotutto lavoravamo entrambi lo stesso numero di ore e vivevamo nella stesa casa, ma per lui non era così ovvio, veniva da un’esperienza famigliare diversa dalla mia in cui la gestione della casa non era mai stata una responsabilità ne sua ne di suo padre, solo quando abbiamo parlato senza “incisi” e senza accuse reciproche il problema è stato risolto: ho fatto presente la mia difficoltà nel gestire casa e lavoro assieme, la mia stanchezza ed ho chiesto aiuto, i compiti alla fine sono stati equamente divisi a tavolino. Ricordo che quando la mia prima bambina è arrivata alla fase dei “terribili due anni” mi sono posta spesso il problema di come risolvere i piccoli conflitti che nascevano quotidianamente, sapevo che non potevo pretendere che lei capisse sempre perché alcune cose non mi andavano, o perché le ritenevo pericolose, dopo un ascolto attento mi rendevo conto magari che la sua logica filava eccome, anche se non era la mia logica, ma quello che mi colpiva era la convinzione e l’energia con cui mia figlia mi diceva “ io voglio!”, da un certo punto di vista ne ero affascinata, io non ricordo di aver mai puntato i piedi dicendo con tanta convinzione “io voglio”, ne da piccola ne da adulta, ho cominciato a pensare a tutte le volte che ho soffocato quel “io voglio” fino a dimenticarlo. Non è sbagliato far presente i propri desideri e la propria volontà anche se vanno contro i desideri delle persone con cui viviamo o lavoriamo o ci relazioniamo, se ne può parlare e discutere anche con passione, sbagliato è nascondere i nostri desideri o peggio i nostri bisogni per paura di essere giudicati o meglio di non essere comunque accettati e allo stesso modo è sbagliato gestire la discussione e il conflitto in modo non costruttivo e quindi giudicando, colpevolizzando o peggio arrivando a imporsi prevaricando l’altro (urla e violenza).
Vorrei che i miei figli crescendo non perdessero la fiducia che adesso ripongono in me, adesso infatti si fidano a tal puto della loro mamma (e del loro papà) che manifestano i loro pensieri e i loro desideri senza porsi nessun problema, non temono di essere giudicati, non temono di avere desideri “sbagliati”, non temono un rifiuto alla loro richiesta perché se anche ci fosse non sarebbe un rifiuto alla loro persona. Vorrei fare un esempio: uno conflitto comune in tante famiglie è quello che riguarda l’ordine,  probabilmente molti di noi hanno sentito o fatto un discorso di questo tipo :” senti, non è possibile che ogni santo giorno io debba raccogliere la tua roba sporca da terra, che debba rifarti il letto e riordinarti la stanza, non sei proprio in grado di tenere in ordine le tue cose?  Mai un volta che  ti degni di fare qualcosa senza che debba chiedertelo almeno cento volte!” Ovviamente il genitore (ma potrebbe essere anche un partner che si rivolge all’altro partner)  è molto infastidito e si rivolge al figlio giudicando la sua capacità e accusandolo per il fatto che non presta abbastanza ascolto alle sue richieste , in questo modo la prima reazione del ragazzo non sarà certo una riflessione sul fatto che il genitore ha ragionevolmente bisogno della sua collaborazione piuttosto proverà un istintivo sentimento di stizza e di rabbia che farà passare tutto il resto in secondo piano. Lo psicologo Thomas Gordon e il terapeuta Jesper Juul sono convinti che qualsiasi discussione possa essere resa più serena e proficua per entrambe le parti parlando in prima persona  e manifestando con chiarezza i propri desideri, in questo modo si evita non solo di giudicare ma anche di accusare e si ottiene generalmente almeno l’ascolto. Se nell’esempio di prima riformuliamo il discorso del genitore usando solo la prima persona l’effetto cambia moltissimo per chi ascolta: “ sono molto infastidito! Ogni giorno devo raccogliere le tue cose sparse per terra e riordinare la tua camera, ho molte altre faccende da sbrigare e sinceramente vorrei che delle tue cose te ne occupassi personalmente, per me sarebbe davvero un grosso aiuto, credi che possiamo accordarci su questo?” Anche in questo caso il genitore è infastidito (lo dice chiaramente), fa presente con chiarezza quello che lo disturba e chiede senza nessuna accusa o giudizio la collaborazione del ragazzo. Questo modo di parlare è ancora più importante quando ci rivolgiamo ai bambini più piccoli, per loro le parole hanno un peso enorme. Ancora un esempio:” io sono stanca adesso, non ho voglia di giocare in questo momento, voglio riposare un pochino e poi giocheremo assieme!” (Discorso in prima persona, chiaro e senza accuse) invece di:” adesso basta! Non mi lasci mai in pace un attimo! Devi capire che quando ti dico no è no! “ il discorso è pretenzioso e poco chiaro, il genitore non vuole ammettere con il figlio che non ha voglia di giocare con lui, preferisce attaccare verbalmente e chiudere la discussione senza fornire una vera e propria spiegazione, ma il bambino in questo caso si sentirà rifiutato senza motivo e giudicato solo per il fatto che ha chiesto alla mamma di giocare, invece nel primo esempio il bambino probabilmente sarà deluso dal fatto che deve attendere per giocare con la mamma, ma non si sentirà rifiutato né giudicato per aver chiesto. Per me capire l’importanza di esprimersi in prima persona e in modo efficace è stata una vera rivelazione, magari per molti può essere ovvio e scontato, ma personalmente ho apprezzato i miglioramenti che questo piccolo accorgimento ha portato nella mia vita quotidiana, la gestione dei piccoli grandi conflitti con i miei bambini è diventata molto più semplice, in questo modo infatti non solo ottengo molto più ascolto ma spesso le mie richieste sono accettate di buon grado. Vorrei concludere con una citazione dal libro “ Eccomi! Tu chi sei?” del terapeuta famigliare Jesper Juul, edito da Feltrinelli:
“Un conflitto nasce quando due persone vogliono due cose diverse. Siccome non succede spesso che due persone vogliano la stessa cosa nello stesso momento, raramente in una famiglia mancano i motivi di conflitto. Fortunatamente i bambini, come del resto gli adulti, sono per lo più in grado di coordinare i loro desideri e i loro bisogni con quelli degli altri. Ma questa capacità di adattamento presuppone che i nostri bisogni individuali non vengano screditati per il fatto che in questo momento sono diversi o contrari rispetto a quelli degli altri. Se criticati viene meno la capacità di collaborare con la comunità, di dire il nostro Sì senza riserve. Possiamo solo sottometterci e la sottomissione è sempre limitata nel tempo, e limitante.”