Sembra essere diventato uno di
quei temi molto di moda adesso, si discute di autonomia del bambino un po’
ovunque, in televisione, su libri più o meno supportati da pareri scientifici,
su articoli, su internet. Spesso i neo genitori hanno davvero troppi dubbi in
merito all'autonomia del proprio bambino, perché troppo spesso vengono
giudicati in base “a quanto il loro bambino è autonomo e indipendente”, e
questo accade sin dai primi mesi di vita del neonato, non è inusuale per una
neo mamma sentirsi dire infatti:” ma come! Dorme con te?! Ma così non si
abituerà mai ad essere davvero autonomo, non importa che abbia solo un mese di
vita, mi raccomando le buone abitudini devono essere insegnate da subito!”.
All’asilo
nido e alla scuola materna spesso un genitore che chiede tempi flessibili per
un “inserimento dolce” per evitare distacchi troppo traumatici dal proprio
figlio o semplicemente perché desidera non dover lasciare il proprio bambino in
un pianto disperato prima di andarsene, è esortato a tenere un comportamento
“dolce ma fermo”, a lasciare il bimbo all'educatrice senza mostrarsi
preoccupato o dispiaciuto, poiché in questi casi il bambino evidentemente è
ancora troppo attaccato alla figura genitoriale.
Anch’io con la mia prima
bambina sono incappata nel dilemma dell’autonomia, fin dai primi mesi di vita.
La pediatra mi aveva infatti esortato ad allattare a richiesta (ossia ad
allattare mia figlia tutte le volte che lei desiderava), e questo valeva sia
per il giorno sia per la notte, ma contemporaneamente dovevo abituare la bimba
a dormire nella sua culla, che inizialmente per i primi mesi sarebbe stata
nella mia camera da letto e successivamente sarebbe stata spostata nella
cameretta. Il parto mi aveva lasciata esausta, avevo bisogno di recuperare
forze e lucidità e dovevo occuparmi della mia bambina, qualsiasi mamma sa
quanto possono essere duri i primi mesi dopo il parto. Durante la notte mi
alzavo per allattare la bimba che sembrava proprio non voler dormire più di tre ore di fila (al tempo mi sembrava assurdo,
tutti i bambini dormono tutta la notte! Ne riparleremo…), allattavo seduta per
non rischiare di riaddormentarmi con la bimba nel lettone (sia mai!) e per
riporla nella culla una volta terminata la poppata, la bimba si riaddormentava
poppando, ma io? Io no, alla fine della poppata ero così sveglia che potevo
impiegare anche due ore prima di riprendere sonno e ormai era già ora della
poppata successiva. “Stranamente” se prendevo la bimba a dormire con me,
riuscivo ad allattare quasi nel dormiveglia senza svegliarmi completamente e il
mattino seguente mi sembrava di essere più riposata, la bimba non aveva tempi
di attesa per poppare, appena si svegliava aveva il seno a disposizione, anche
lei dormiva meglio senza veri e propri risvegli. Alla fine ho ceduto al mio
istinto di sopravvivenza, mi sarei posta più avanti il problema dell’autonomia
nel dormire, io avevo bisogno di riposare, mio marito aveva bisogno di
riposare, la bimba aveva bisogno di poppare e di riposare, per cui ho
cominciato a dormire con mia figlia e ad informarmi.
In realtà non è da molto tempo
che i bambini “devono abituarsi a dormire da soli”, se pensiamo alla generazione
dei nostri nonni e in molti casi anche a quelle dei nostri genitori era
abbastanza raro possedere due o più camere da letto, un elevato numero di
stanze per dormire era prerogativa dei ceti più abbienti, generalmente si
facevano più figli di adesso e necessariamente si doveva condividere il sonno
con altri famigliari. Mia nonna materna aveva 8 fratelli, mio padre ne aveva
cinque, mia madre quattro, non vivevano in palazzi e immagino che fosse
assolutamente normale per i genitori dormire con i bimbi più piccoli e per i
fratelli condividere la stanza con altri fratelli, e malgrado questa “promiscuità”
sembra che la loro generazione venga portata sempre come esempio, mentre la
nostra generazione di bimbi abituati fin da subito a dormire da soli siano i
così detti “bamboccioni” che non se ne vanno di casa se non dopo i 30 anni,
qualcosa non torna vero? L’asilo nido e la scuola materna sono “conquiste”
anch’esse recenti, i miei nonni non hanno frequentato ne l’asilo nido, ne la
scuola materna, semplicemente non esistevano ( a parte qualche struttura
pioniera per i bambini di famiglie operaie e centri gestiti dalle parrocchie),
la mamma generalmente era a casa e si occupava dei bambini, solo quando il lavoro femminile ha cominciato ad
essere una realtà per la maggior parte delle donne sono comparsi i primi asili.
Prima di allora il bambino stava a casa a contatto con la mamma, fratelli e
famigliari fino all’età scolare, e solo in quel momento avveniva il primo vero
e proprio “distacco”. Certo, un po’ di batticuore il primo giorno di scuola
credo che lo abbiano avuto tutti, ma chissà perché ho l’impressione che a sei
anni si possa vivere questo evento con molta più serenità e consapevolezza che
a sei mesi o a tre anni. Oggi i bambini devono gestire la separazione dalla
mamma sempre prima, molti già dopo la fine della maternità obbligatoria vengono
lasciati alle cure di educatrici di asili nido o baby sitter, hanno solo tre
mesi. Anche a tre anni, età in cui normalmente si inizia la scuola materna, non
è detto che per il bambino sia semplice e scontato gestire il distacco,
pensiamo solo alla concezione del tempo che possiede il bambino, un bambino di
sei anni è in grado di capire perfettamente quando gli si dice “ la mamma ti
viene a prendere dopo pranzo, tranquillo!”, ma un bambino di un anno e mezzo e
spesso anche uno di tre anni non possiede ancora questo concetto, vive il presente
e conosce solo il presente, il dopo non
ha senso per lui, che gli si parli di cinque minuti o di cinque anni per lui è
uguale, per cui nel momento in cui viene separato dalla mamma lui sa solo che
lei non c’è più. Certo con il tempo, capirà che la mamma torna anche se a volte
scompare per qualche motivo, ma appunto ci vuole tempo, ed ogni bambino ha i
suoi tempi. Il rispetto dei tempi di maturazione di ogni bambino è fondamentale
ai fini della sua autonomia, un bambino costretto troppo presto all’indipendenza
potrebbe essere un futuro bambino “troppo dipendente” dagli altri, al contrario
un bambino che ha ciò di cui ha bisogno (e intendo bisogni primari) nel momento
in cui ne ha bisogno non avrà più necessità di chiedere più avanti la stessa
cosa.
Il pediatra Carlos Gonzales in
uno dei suoi libri (Besame Mucho, Coleman Editore) spiega molto chiaramente tutta l’incoerenza
che si nasconde a volte nella nostra pretesa di avere figli autonomi e
indipendenti: “ tutti vogliamo figli indipendenti! Che si alzino e vadano a
dormire quando ne hanno voglia, che facciano i compiti solo se gli va, che decidano
da soli se vogliono andare a scuola, che si mettano i vestiti che più
gradiscono, che mangino ciò che vogliono…. Ah no! Non questo tipo di
indipendenza. Vogliamo che i nostri figli siano indipendenti, ma che facciano
esattamente quello che gli diciamo. O meglio, che indovinino ciò che pensiamo e
che facciano ciò che vogliamo senza bisogno di dire niente. Così tutti
noteranno che siamo degli ottimi genitori, che concediamo loro molta libertà e
che non diamo ordini…. Quando molta gente dice” voglio che mio figlio sia
indipendente “ vuole dire in realtà “ voglio che dorma da solo e senza
chiamarmi, che mangi da solo e molto, che giochi da solo e senza far rumore,
che non infastidisca, che quando me ne vado e lo lascio con un’altra persona
sia contento”. Ma questo non è un obiettivo ragionevole né per un bambino né
per un adulto….. Abbiamo bisogno degli altri e gli altri hanno bisogno di noi.
Un essere umano adulto deve essere capace di chiedere e ottenere l’aiuto degli
altri per raggiungere i suoi fini, e di prestare aiuto agli altri quando glielo
chiedono. Più che indipendenti, siamo interdipendenti…. Quando tu dedichi
attenzione a tuo figlio, gli stai insegnando a essere indipendente. Dopo una
separazione (una malattia, il lavoro della madre, l’inizio dell’asilo), il
bambino diventa più dipendente, ha bisogno di una maggiore quantità di coccole,
di maggiore contatto, non vuole separarsi nemmeno per un momento dalla madre.
Se gli dai il contatto di cui ha bisogno, finirà col superare la sua
insicurezza; se glielo neghi, il problema diventerà sempre più grave. Quando un
bambino smette di chiamare la madre perché non ne ha più bisogno, non è come
quando smette di chiamarla perché sa che, per quanto la chiami, lei non gli
presterà attenzione.”