lunedì 25 marzo 2013

Il bambino autonomo





Sembra essere diventato uno di quei temi molto di moda adesso, si discute di autonomia del bambino un po’ ovunque, in televisione, su libri più o meno supportati da pareri scientifici, su articoli, su internet. Spesso i neo genitori hanno davvero troppi dubbi in merito all'autonomia del proprio bambino, perché troppo spesso vengono giudicati in base “a quanto il loro bambino è autonomo e indipendente”, e questo accade sin dai primi mesi di vita del neonato, non è inusuale per una neo mamma sentirsi dire infatti:” ma come! Dorme con te?! Ma così non si abituerà mai ad essere davvero autonomo, non importa che abbia solo un mese di vita, mi raccomando le buone abitudini devono essere insegnate da subito!”.
 All’asilo nido e alla scuola materna spesso un genitore che chiede tempi flessibili per un “inserimento dolce” per evitare distacchi troppo traumatici dal proprio figlio o semplicemente perché desidera non dover lasciare il proprio bambino in un pianto disperato prima di andarsene, è esortato a tenere un comportamento “dolce ma fermo”, a lasciare il bimbo all'educatrice senza mostrarsi preoccupato o dispiaciuto, poiché in questi casi il bambino evidentemente è ancora troppo attaccato alla figura genitoriale. 
Anch’io con la mia prima bambina sono incappata nel dilemma dell’autonomia, fin dai primi mesi di vita. La pediatra mi aveva infatti esortato ad allattare a richiesta (ossia ad allattare mia figlia tutte le volte che lei desiderava), e questo valeva sia per il giorno sia per la notte, ma contemporaneamente dovevo abituare la bimba a dormire nella sua culla, che inizialmente per i primi mesi sarebbe stata nella mia camera da letto e successivamente sarebbe stata spostata nella cameretta. Il parto mi aveva lasciata esausta, avevo bisogno di recuperare forze e lucidità e dovevo occuparmi della mia bambina, qualsiasi mamma sa quanto possono essere duri i primi mesi dopo il parto. Durante la notte mi alzavo per allattare la bimba che sembrava proprio non voler dormire più di tre  ore di fila (al tempo mi sembrava assurdo, tutti i bambini dormono tutta la notte! Ne riparleremo…), allattavo seduta per non rischiare di riaddormentarmi con la bimba nel lettone (sia mai!) e per riporla nella culla una volta terminata la poppata, la bimba si riaddormentava poppando, ma io? Io no, alla fine della poppata ero così sveglia che potevo impiegare anche due ore prima di riprendere sonno e ormai era già ora della poppata successiva. “Stranamente” se prendevo la bimba a dormire con me, riuscivo ad allattare quasi nel dormiveglia senza svegliarmi completamente e il mattino seguente mi sembrava di essere più riposata, la bimba non aveva tempi di attesa per poppare, appena si svegliava aveva il seno a disposizione, anche lei dormiva meglio senza veri e propri risvegli. Alla fine ho ceduto al mio istinto di sopravvivenza, mi sarei posta più avanti il problema dell’autonomia nel dormire, io avevo bisogno di riposare, mio marito aveva bisogno di riposare, la bimba aveva bisogno di poppare e di riposare, per cui ho cominciato a dormire con mia figlia e ad informarmi.
In realtà non è da molto tempo che i bambini “devono abituarsi a dormire da soli”, se pensiamo alla generazione dei nostri nonni e in molti casi anche a quelle dei nostri genitori era abbastanza raro possedere due o più camere da letto, un elevato numero di stanze per dormire era prerogativa dei ceti più abbienti, generalmente si facevano più figli di adesso e necessariamente si doveva condividere il sonno con altri famigliari. Mia nonna materna aveva 8 fratelli, mio padre ne aveva cinque, mia madre quattro, non vivevano in palazzi e immagino che fosse assolutamente normale per i genitori dormire con i bimbi più piccoli e per i fratelli condividere la stanza con altri fratelli, e malgrado questa “promiscuità” sembra che la loro generazione venga portata sempre come esempio, mentre la nostra generazione di bimbi abituati fin da subito a dormire da soli siano i così detti “bamboccioni” che non se ne vanno di casa se non dopo i 30 anni, qualcosa non torna vero? L’asilo nido e la scuola materna sono “conquiste” anch’esse recenti, i miei nonni non hanno frequentato ne l’asilo nido, ne la scuola materna, semplicemente non esistevano ( a parte qualche struttura pioniera per i bambini di famiglie operaie e centri gestiti dalle parrocchie), la mamma generalmente era a casa e si occupava dei bambini, solo  quando il lavoro femminile ha cominciato ad essere una realtà per la maggior parte delle donne sono comparsi i primi asili. Prima di allora il bambino stava a casa a contatto con la mamma, fratelli e famigliari fino all’età scolare, e solo in quel momento avveniva il primo vero e proprio “distacco”. Certo, un po’ di batticuore il primo giorno di scuola credo che lo abbiano avuto tutti, ma chissà perché ho l’impressione che a sei anni si possa vivere questo evento con molta più serenità e consapevolezza che a sei mesi o a tre anni. Oggi i bambini devono gestire la separazione dalla mamma sempre prima, molti già dopo la fine della maternità obbligatoria vengono lasciati alle cure di educatrici di asili nido o baby sitter, hanno solo tre mesi. Anche a tre anni, età in cui normalmente si inizia la scuola materna, non è detto che per il bambino sia semplice e scontato gestire il distacco, pensiamo solo alla concezione del tempo che possiede il bambino, un bambino di sei anni è in grado di capire perfettamente quando gli si dice “ la mamma ti viene a prendere dopo pranzo, tranquillo!”, ma un bambino di un anno e mezzo e spesso anche uno di tre anni non possiede ancora questo concetto, vive il presente e conosce solo il  presente, il dopo non ha senso per lui, che gli si parli di cinque minuti o di cinque anni per lui è uguale, per cui nel momento in cui viene separato dalla mamma lui sa solo che lei non c’è più. Certo con il tempo, capirà che la mamma torna anche se a volte scompare per qualche motivo, ma appunto ci vuole tempo, ed ogni bambino ha i suoi tempi. Il rispetto dei tempi di maturazione di ogni bambino è fondamentale ai fini della sua autonomia, un bambino costretto troppo presto all’indipendenza potrebbe essere un futuro bambino “troppo dipendente” dagli altri, al contrario un bambino che ha ciò di cui ha bisogno (e intendo bisogni primari) nel momento in cui ne ha bisogno non avrà più necessità di chiedere più avanti la stessa cosa.

Il pediatra Carlos Gonzales in uno dei suoi libri (Besame Mucho, Coleman Editore)  spiega molto chiaramente tutta l’incoerenza che si nasconde a volte nella nostra pretesa di avere figli autonomi e indipendenti: “ tutti vogliamo figli indipendenti! Che si alzino e vadano a dormire quando ne hanno voglia, che facciano i compiti solo se gli va, che decidano da soli se vogliono andare a scuola, che si mettano i vestiti che più gradiscono, che mangino ciò che vogliono…. Ah no! Non questo tipo di indipendenza. Vogliamo che i nostri figli siano indipendenti, ma che facciano esattamente quello che gli diciamo. O meglio, che indovinino ciò che pensiamo e che facciano ciò che vogliamo senza bisogno di dire niente. Così tutti noteranno che siamo degli ottimi genitori, che concediamo loro molta libertà e che non diamo ordini…. Quando molta gente dice” voglio che mio figlio sia indipendente “ vuole dire in realtà “ voglio che dorma da solo e senza chiamarmi, che mangi da solo e molto, che giochi da solo e senza far rumore, che non infastidisca, che quando me ne vado e lo lascio con un’altra persona sia contento”. Ma questo non è un obiettivo ragionevole né per un bambino né per un adulto….. Abbiamo bisogno degli altri e gli altri hanno bisogno di noi. Un essere umano adulto deve essere capace di chiedere e ottenere l’aiuto degli altri per raggiungere i suoi fini, e di prestare aiuto agli altri quando glielo chiedono. Più che indipendenti, siamo interdipendenti…. Quando tu dedichi attenzione a tuo figlio, gli stai insegnando a essere indipendente. Dopo una separazione (una malattia, il lavoro della madre, l’inizio dell’asilo), il bambino diventa più dipendente, ha bisogno di una maggiore quantità di coccole, di maggiore contatto, non vuole separarsi nemmeno per un momento dalla madre. Se gli dai il contatto di cui ha bisogno, finirà col superare la sua insicurezza; se glielo neghi, il problema diventerà sempre più grave. Quando un bambino smette di chiamare la madre perché non ne ha più bisogno, non è come quando smette di chiamarla perché sa che, per quanto la chiami, lei non gli presterà attenzione.”


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