venerdì 6 dicembre 2013

Torta di carote e mandorle

  
Oggi vi propongo questa torta tanto buona quanto semplice e genuina, ci sono pochissimi ingredienti eppure il risultato è davvero strepitoso. Si tratta di un dolce tradizionale e ne esistono parecchie versioni, io lo trovo delizioso, anche servito appena tiepido con panna montata a parte o una pallina di gelato.

Ingredienti:

300 gr di carote
300 gr di mandorle sgusciate
300 gr di zucchero (potete utilizzare anche quello di grezzo di canna)
4 uova
1 limone
1 bicchierino di rum (ci sta benissimo, ma se non lo gradite sostituitelo con del miele o con del succo di limone)
1 cucchiaio di farina (va bene anche quella integrale, serve solo per addensare un pochino il composto)

Preparazione:

Lavorate a lungo lo zucchero con i tuorli d’uovo fino a quando non otterrete un composto cremoso, aggiungete quindi la farina, le carote grattugiate e le mandorle tritate, sempre mescolando con cura. Unite poi al composto la buccia grattugiata del limone e il liquore, montate a neve gli albumi e incorporateli delicatamente al composto, facendo attenzione a non sgonfiarli.


Versate ora l’impasto in una tortiera unta e infarinata (o ricoperta di carta da forno) e fate cuocere in forno a 180° circa per tre quarti d’ora (utilizzate sempre la modalità non ventilata per i forni elettrici).

martedì 8 ottobre 2013

Perchè non mi piace Tata Lucia

Recentemente l’associazione pediatri italiani e alcune associazioni di genitori hanno inviato una lettera all’Autorità Garante per l’infanzia per segnalare alcuni episodi del celebre programma televisivo SOS TATA, nella lettera si faceva riferimento in particolare ad una puntata in cui veniva ripreso per parecchi minuti un bambino di appena dodici mesi costretto ad addormentarsi da solo, in camera, al buio, in preda ad un pianto sconsolato.
Conosco il programma SOS TATA da molto tempo, ormai credo sia giunto all’ottava edizione, chi mi conosce sa che sono critica verso questa trasmissione da sempre, mi stupisce infatti che l’associazione pediatri sia mossa solo adesso, saltuariamente ho visto alcune puntate, e sinceramente trovo che l’episodio segnalato nella lettera al garante per l’infanzia sia solo uno fra i tanti andati in onda da boicottare  e non è nemmeno il più controverso…
Personalmente le mie perplessità su questo programma sono dovute a poche ma fondamentali questioni:

-          I metodi utilizzati dalle tate televisive sono sempre gli stessi, a prescindere dal contesto famigliare e dal bambino.
-       In alcuni episodi, non menzionati nella famosa lettera, le tate televisive impongono alla madre di interrompere senza indugi l’allattamento al seno, ricordo almeno due puntate in cui è successo, e in entrambe la motivazione portata dalla Tata era l’età del bambino, dopo l’anno (meglio se un po’ prima) non c’è più necessità di allattare il bambino secondo la Tata, il seno diventa un bisogno solo della madre che lede all’autonomia del bambino. In uno di questi due episodi, Tata Adriana nota con disappunto che la madre allatta a richiesta la sua bimba di poco più di un anno,  deduce quindi che la bambina abbia preso un “vizio” e la madre ormai ne è schiava, interviene quindi all’ennesima richiesta della bambina di poppare imponendo alla madre di offrirle un biberon con del succo di frutta , ma la bambina lo rifiuta, allora l’idea geniale della tata è quella di attaccare la mamma ad un tiralatte perché possa offrire il suo latte nel biberon, la bambina nel frattempo continua a piangere ed allungare le mani verso il seno della madre, la madre ad un certo punto è costretta a scostarla per attaccarsi il tiralatte, sempre con la piccola a fianco ormai sfinita dal pianto. Ovviamente alla fine la bambina ha rifiutato anche il biberon di latte materno. Un messaggio come quello passato in questa particolare puntata è davvero pericoloso, l’allattamento materno e l’eventuale interruzione sono argomenti che una madre deve discutere con il pediatra o con un consulente certificato sull’allattamento, l’interruzione brusca di un allattamento può avere ripercussioni pesanti sul bambino (il latte materno ricordiamolo è nutrimento a tutti gli effetti anche dopo l’anno) e anche sulla madre (ingorghi e mastite), inoltre i dettami delle tate sull’allattamento sono in aperto contrasto con quanto invece afferma e consiglia caldamente l’organizzazione mondiale della sanità.
-          I genitori hanno sempre un atteggiamento passivo nei confronti della Tata, il genitore appare sempre insicuro, inadeguato e bisognoso della guida della Tata, ascolta le sue indicazioni senza mai avviare un minimo di confronto, anche quando la Tata dopo appena due giorni di osservazione costruisce i profili psicologici di tutti componenti della famiglia, elenca i problemi relazionali  e impartisce le nuove regole. In questo modo la figura della Tata diventa a tutti gli effetti detentrice della verità, la sua parola è legge e  i genitori non hanno diritto di replica.
-       Non sono mai contemplate alternative, come se famiglie e bambini non fossero diversi gli uni dagli altri, ricordo una puntata in cui sempre in nome del dormire da soli e nel proprio letto, due bambini di un anno e tre anni vengono messi a dormire nella loro camera da soli per la prima volta, Tata Lucia pretende che si addormentino ascoltando una specie di carillon, senza il contatto dei genitori a cui erano abituati fino alla sera prima, i bambini ovviamente cominciano a reclamare subito i genitori e quest’ultimi sono costretti più volte a riportarli nel loro letto tra urla e pianti, passano mezz’ore e alla fine il papà non ci sta più e si corica in camera con i bambini e li addormenta narrando loro una fiaba… Tata Lucia a questo punto, anziché apprezzare il fatto che il papà sia riuscito ad addormentare i bambini nel loro letto e nella loro camera, sottolinea come il padre non si sia attenuto alla regola di non confortare i bambini e di aver ceduto ai loro ricatti.
-          La trasmissione, pur andando in onda in orario “ per famiglie”, non tiene conto dei risvolti psicologici se la visione è permessa anche ai bambini, prima di diventare mamma non avevo notato questo aspetto, ma dopo che mia figlia di quattro anni mi ha chiesto perché “ quelle mamme lasciano piangere così i loro bambini”, non ho più guardato il programma in sua presenza.
-      Manca completamente un’informazione seria e supportata scientificamente; ciò non sarebbe problema se le Tate si limitassero a dare consigli ispirati dal buon senso, ma spesso i consigli riguardano l’alimentazione, l’allattamento, aspetti psicologici dell’età evolutiva, temi importanti come l’ enuresi primaria e secondaria (trattate in un puntata come se fossero la stessa cosa).

-          Il canale televisivo non è un canale d’informazione come gli altri, la televisione è presente in quasi la totalità delle famiglie italiane, la sua diffusione supera quella di internet e della carta stampata,  fare informazione in televisione richiede per tanto massima serietà e un minimo di riscontro scientifico, altrimenti è doveroso segnalare all’interno della trasmissione stessa che i pareri riportati sono solo i pareri personali di una singola persona che si basa esclusivamente sulla sua esperienza, per tanto non devono essere considerati al pari del parere di un medico o di un nutrizionista per esempio.

martedì 17 settembre 2013

Contorno di cavolfiore

L’autunno è alle porte e si cominciano già a trovare i primi cavolfiori che ci terranno compagnia durante la prossima stagione invernale, personalmente li ho scoperti da poco, solo da qualche anno, prima li mangiavo sia cotti che crudi ma senza grande soddisfazione, ma i gusti cambiano per fortuna e inoltre questo ortaggio è un vero e proprio toccasana per la nostra salute. Vi propongo un modo per consumarli come contorno, velocissimo da preparare e devo ammettere anche ideale per non riempire la casa del classico odore da cavolo cotto, in quanto non prevede la bollitura.

Ingredienti:

un cavolfiore
olio extra vergine di oliva
burro (una noce)
sale

strumento quasi indispensabile: una buona padella antiaderente!

Preparazione:

Si taglia il cavolfiore a piccoli pezzi cercando di salvare anche le foglie, soprattutto quelle più interne che sono più tenere e buonissime (ci vuole però un cavolfiore di ottima qualità), si sciacqua il tutto sotto l’acqua corrente, magari aiutandosi con uno scolapasta.
Si mette una padella capiente antiaderente sul fuoco con un po’ d’olio d’oliva e una noce di burro (il burro contribuisce a dare aroma e sapore al cavolo, ma se preferite potete usare anche solo l’olio d’oliva) e si aggiunge quindi il cavolo a pezzetti. Si lascia rosolare per bene il cavolfiore girandolo spesso con un mestolo di legno e quindi si sala a piacere, il cavolo dovrebbe già prendere un bel colore quasi dorato in certi punti, io a questo punto aggiungo anche  pochissima acqua per cuocere di più il cavolo, ma dipende dai vostri gusti, le verdure sono ottime anche appena scottate. Quando l’acqua sarà completamente consumata dalla cottura, il cavolfiore è pronto da servire e da gustare.



Per un gusto più deciso e forte potete aggiungere all’olio d’oliva anche due filetti di acciuga sott’olio e un pezzetto di peperoncino, fate rosolare per bene e quindi aggiungete il cavolfiore, la versione più semplice comunque è molto gustosa e almeno per i miei bambini più appetitosa.

lunedì 16 settembre 2013

Il mio allattamento - parte seconda

Quando Agnese compì nove mesi, terminò anche il mio congedo lavorativo, avevo usufruito di tutta la maternità facoltativa e decisi di tornare al lavoro. Avevo un contratto a tempo indeterminato, il lavoro mi piaceva e il mio stipendio era un’entrata rilevante per il bilancio famigliare. Eppure più si avvicinava il giorno in cui sarei dovuta rientrare in ufficio e più mi trovavo a gestire uno stato d’ansia vero e proprio. La mia bambina fino a quel momento era stata accudita da me, si nutriva ancora molto del mio latte, non ci eravamo mai separate per più di un’ora, si addormentava sempre poppando al seno e proprio in quel periodo sembrava molto più attenta ad avermi sempre a “portata di vista”, d’altra parte cosa sono nove mesi di vita? Altrettanti ne aveva passati a stretto contatto con me durante la gravidanza, da poco aveva iniziato a mangiare qualcosa di diverso dal mio latte, era ancora così piccola e così bisognosa dei suoi pochi e importantissimi punti di riferimento, ma nove mesi sono abbastanza per lo stato italiano per imporre un allattamento ad orario, per imporre una separazione dalla madre di un’intera giornata, per pretendere dal bambino un’autonomia del tutto simile a quella di un bambino di tre anni che inizia la scuola materna, e intendo l’autonomia dal bisogno di avere la mamma vicina, l’autonomia di soddisfare il bisogno di nutrimento, consolazione e contatto con qualcosa di diverso dal seno materno ricevuto fino al giorno prima, l’autonomia dal bisogno di ritrovare ogni giorno un ambiente famigliare e il più possibile vicino alle proprie esigenze, l’autonomia dai propri ritmi a favore di orari e ritmi imposti e tutto a questo a soli nove mesi di vita nel caso di Agnese, molto prima per tanti altri bambini.
Mi organizzai con una baby sitter per facilitare il più possibile mia figlia, pensavo che avere una persona completamente dedicata a lei, avrebbe reso meno stressante il distacco, l’impegno economico era maggiore rispetto al nido, ma io stessa ero più tranquilla, non potevo appoggiarmi ai nonni in quel periodo (cosa che avrei preferito) e almeno Agnese avrebbe avuto un minimo di continuità sia per quanto riguarda l’ambiente (casa nostra) sia nel rapporto esclusivo con chi si sarebbe preso cura di lei. Iniziai a produrre delle scorte di latte di materno che congelavo, anche se ben presto scoprì che Agnese non prendeva in mia assenza ne il biberon, ne il bicchiere con il mio latte, mangiava il cibo preparato dalla baby sitter e poi appena rientravo dal lavoro faceva il pieno di latte di mamma per parecchie volte fino al mattino successivo, era incredibile, era come se tenesse duro in mia assenza per poi rifarsi quando tornavo, la mia produzione di latte infatti non è assolutamente calata. Al lavoro, come spesso succede, non ritrovai la situazione che avevo lasciato prima dell’astensione per la gravidanza, il mio ruolo era stato molto ridimensionato e l’atmosfera non era quella che ricordavo. Prima di diventare mamma, il mio impegno nel lavoro è sempre stato molto e responsabile, non mi sono mai sottratta a incarichi e ad orari scomodi, ma  la mia situazione era completamente cambiata,  a casa mi aspettava mia figlia, che aveva bisogno di me molto più del mio datore di lavoro. Non ho atteso molto per richiedere all’ufficio del personale la possibilità di avere un part time, anche temporaneo, che però mi è stato negato senza troppi preamboli. Nel giro di tre giorni, in accordo con mio marito, ho dato le dimissioni e sono tornata ad occuparmi della mia bambina a tempo pieno con grande soddisfazione. Dopo un mese dal mio licenziamento ero già in attesa del mio secondo bambino, è stata una grande sorpresa, allattavo ancora molto Agnese, non era assolutamente una gravidanza programmata, ma ne siamo stati tutti felici da subito, io personalmente ero davvero emozionata, la gravidanza di Agnese l’avevo vissuta con molte paure, ma proprio la mia bambina in quel momento mi dava speranza e mi permetteva di trascorrere più serenamente la dolce attesa.
Agnese aveva diciassette mesi e prima di scoprire la nuova gravidanza avevo già deciso che l’avrei allattata fino a quando lei stessa non avesse deciso di svezzarsi completamente, avevo letto molto sull’allattamento e sapevo che non sarebbe stato di ostacolo alla mia gravidanza, volevo fidarmi del mio corpo, delle mie sensazioni e procedere con ottimismo giorno per giorno. Discussi la mia decisione anche con il  ginecologo, che una volta accertato il buon proseguimento della gravidanza, mi disse che l’allattamento era compatibile con il mio stato interessante fino al quarto mese, poi avrei dovuto gradualmente sospenderlo per evitare le contrazioni dovute alla suzione. Risposi al dottore che mi ero informata e che sapevo che le contrazioni dovute alla suzione si presentavano generalmente dopo il parto, prima erano praticamente assenti e di solito nemmeno avvertite dal corpo della donna, ma il mio ginecologo mi disse che man mano che l’utero cresceva aumentava anche il rischio di avere contrazioni durante l’allattamento. Decisi allora di proseguire l’allattamento fino a quando non avessi chiaramente avvertito fastidio durante la poppata e il medico semplicemente prese atto. Ho continuato ad allattare per tutta la gravidanza senza nessun problema, le uniche contrazioni che ho avvertito sono state quelle dovute a sforzi particolarmente intensi e prolungati come dopo qualche ora trascorsa in piedi a stirare, ma mai durante l’allattamento della mia bambina, anzi sedermi sul divano con lei e offrirle il seno era un modo anche per me per riposare e rilassarmi, una scusa per interrompere qualsiasi incombenza domestica, un modo piacevole per accompagnare velocemente la mia bambina nel sonno, un momento intimo che condividevo con entrambi i miei bambini, infatti spesso verso il finire della gravidanza Agnese poggiava una manina sul pancione mentre poppava e capitava che potesse chiaramente avvertire il suo fratellino fare ginnastica .  Non ho mai temuto infine che l’allattamento potesse togliere del nutrimento al bimbo che portavo in grembo, fisicamente mi sentivo bene, certo i primi tre mesi come per la precedente gravidanza sono stati particolarmente faticosi e caratterizzati da quei fastidi fisiologici che possono presentarsi all’inizio della gravidanza, mi sentivo molto stanca, avevo una nausea fastidiosa e sempre presente, ma nulla di particolare rispetto alla prima gravidanza. Terminato il primo trimestre sono rinata, mi sentivo piena di energie, ero felice e occuparmi di Agnese faceva letteralmente volare le mie giornate.
Quando giunse il settimo mese di gravidanza notai una drastica diminuzione del mio latte, Agnese passava infastidita spesso da un seno all’altro senza trovare soddisfazione, iniziò a chiedermi il latte vaccino, che fino a quel momento aveva sempre rifiutato, accettava di buon grado anche il biberon (mai utilizzato prima), ma continuava ad attaccarsi al seno. Spesso la sera dopo aver poppato da me, chiedeva una tazza di latte vaccino o il biberon, e si addormentava. Sapevo che poteva succedere e sapevo che molti bambini smettono definitivamente di poppare proprio in questo periodo, ma Agnese , pur poppando a vuoto, non ha mai rinunciato un solo giorno ad attaccarsi. Un mese prima della data prevista del parto, durante un controllo, mi trovarono il collo dell’utero molto accorciato e sentenziarono che avrei potuto partorire anche da un giorno all’altro e che l’allattamento avrebbe potuto influire ulteriormente sui tempi, mi dissero anche che comunque al secondo parto era una situazione abbastanza normale, quindi decisi ancora una volta di fidarmi del mio corpo e continuai ad allattare. Arrivò senza nessuna avvisaglia e senza nessun problema il giorno della data prevista per il parto, mi sottoposero in quel mese a vari controlli che confermarono solamente il buon progredire della gravidanza.
Finalmente a quaranta settimane e tre giorni dall’inizio della gravidanza ruppi le acque, in totale assenza di contrazioni, come era successo con Agnese. Ricordo che erano le dieci di sera, mi ero coricata da poco, dopo una cena a casa mia con amici, per i quali avevo cucinato e servito, ed ero a letto con la mia bambina a fianco che si era appena addormentata al seno. Lentamente e senza far rumore scesi dal letto, chiamai mio marito e gli annunciai tranquillamente che era arrivato il momento, telefonai a  mia mamma perché venisse a sostituirmi nel co-sleeping con Agnese e partì alla volta dell’ospedale. Il parto del mio secondo bambino fu bellissimo, vissuto senza paure e in piena consapevolezza, magari prima o poi ne farò un articolo. Il piccolo Paolo poté godere da subito di tutti i vantaggi del mio allattamento già avviato con la sorella, la montata lattea arrivò dopo nemmeno ventiquattro ore dal parto e soprattutto sapevo esattamente cosa fare, le posizioni per allattare un neonato non avevano segreti per me questa volta, Paolo fece la sua prima poppata poco dopo la nascita e da quel momento ebbe sempre il seno a disposizione, mi stupì io stessa di come tutto mi venisse naturale, tutte le insicurezze che avevo vissuto con la mia prima bambina, non c’erano più, tutto ero talmente spontaneo e quasi automatico che io stessa beneficiavo di una serenità e tranquillità che non ricordavo, e la ripresa dal parto fu probabilmente grazie a questo stato d’animo veloce e senza disagi. Firmai per uscire dall’ospedale a quarantotto ore dal parto, mi sentivo bene, Paolo era uno splendore, il suo calo fisiologico quasi assente e ci dimisero prima del tempo senza problemi, non vedevo l’ora di riabbracciare Agnese! A casa la mia bambina mi attendeva trepidante dopo quel primo vero distacco di due giorni, appena mi vide volle subito poppare, proprio quando anche il fratellino si stava svegliando dal suo primo viaggetto in automobile, e così avviai il mio allattamento in tandem, avevo fantasticato molto su questo momento, mi ero documentata per bene, ma nel momento in cui Agnese e Paolo popparono insieme per la prima volta mi resi conto che mi veniva naturale, come se l’avessi sempre fatto.
Allattare in tandem due fratelli di età diversa è stata una bellissima esperienza, ho potuto contemporaneamente nutrire e crescere il mio piccolo appena nato e permettere alla mia prima bambina di abituarsi al fratellino in modo “soft”, senza imporle distacchi prematuri, permettendole di assecondare i suoi tempi e di godere ancora di tutti i benefici dell’allattamento, a quel tempo Agnese aveva da poco compiuto i due anni. Il mio latte bastava per tutti e due, avevo avuto qualche dubbio all’inizio, ma dovetti ricredermi molto presto, il mio corpo produceva latte in base alla richiesta, Paolo cresceva a vista d’occhio, Agnese era tornata ad alimentarsi soprattutto con il mio latte, anche se dopo un mese circa dal parto ha ricominciato a mangiare come prima, io non ho mai accusato enorme stanchezza o debolezza, cercavo di curare bene la mia alimentazione e  riuscivo a riposare meglio rispetto al periodo in cui Agnese aveva pochi mesi, o forse ero ormai semplicemente già abituata ai risvegli notturni.

Ho continuato ad allattare assieme i miei bambini per due anni e mezzo, dopo di ché Agnese ha smesso di chiedere il seno, è stato un cambiamento molto graduale, quasi non me sono accorta, chi allatta bambini grandicelli sa di cosa parlo: iniziano a “dimenticarsi” di poppare per una giornata, poi per due, fino a quando passa un’intera settimana senza chiedere il seno, poi arriva il giorno in cui magari vogliono riprovare ma non si ricordano più come si fa, e allora ti dicono che il latte è andato via o che loro ormai sono diventati grandi , così è stato per la mia bambina, e quando è successo aveva quattro anni e mezzo. Paolo invece è ancora molto legato alle sue poppate giornaliere ma ha due anni e mezzo ,… c’è tempo ancora! 

domenica 15 settembre 2013

Il mio allattamento - parte prima



La nascita della mia prima bambina diede inizio anche al mio allattamento, oltre che all’incredibile avventura di essere madre. Durante la gravidanza avevo seguito un corso pre parto in cui avevo appreso qualcosa sull’allattamento naturale, avevo imparato che il latte materno dal punto di vista nutrizionale era il meglio che potevo offrire a mia figlia, avevo sentito parlare di allattamento a richiesta, di eventuali problemi legati alla scarsa produzione di latte o all’errato modo di attaccare il bambino, ma la mia conoscenza sull’argomento si fermava a questo, del resto mia madre non aveva allattato nessuno dei suoi tre figli e tutto sommato eravamo cresciuti tutti bene senza particolari problemi, tutto sommato quello che mi importava davvero era stringere tra le braccia mia figlia, latte materno o biberon di latte artificiale al tempo non era una questione che ritenevo davvero importante. Mia sorella aveva già una bambina di due anni che aveva allattato per tredici mesi, ricordo benissimo che quando decise di smettere di allattarla (non senza molti sensi di colpa) le dissi che aveva atteso anche troppo, un anno di allattamento mi sembrava un’eternità. Poi nacque Agnese e nacque anche la madre. Durante i tre giorni di degenza all’ospedale non capivo perché le ostetriche e la puericultrice insistessero tanto perché attaccasi mia figlia al seno, io ero davvero provata, volevo solo riposare, mia figlia era sempre accanto a me e se piangeva dovevo occuparmene io, anche se avevo le flebo attaccate (i miei valori di ferro erano scesi moltissimo dopo il parto), cercavo di fare quello che avevo visto fare a mia mamma con mio fratello minore, lunghe camminate in casa con il bimbo urlante in braccio, ma dopo un parto non è una cosa semplice, se attaccavo la bimba al seno dovevo avere vicino comunque la puericultrice perché non avevo la minima idea di come dovessi fare e sembrava che non andasse mai bene, tanto che dopo vari tentativi mi portarono dei paracapezzoli e mi attaccarono per il resto del tempo ad un tiralatte per verificare la mia produzione… ovviamente con il tiralatte non riuscivo a tirare nulla, qualche goccia di colostro e basta, la bambina aveva già superato il calo fisiologico del 10% e le avevano dato qualche ml di latte materno (il mio ospedale poteva vantare una banca del latte per fortuna), ma ero a pezzi, mi sembrava che mi richiedessero sforzi inauditi, che mi opprimessero con richieste assurde ed ero preoccupata per la salute di mia figlia. Quando ci dimisero la pediatra che aveva visitato Agnese mi disse:” signora per il momento non ha ancora avuto la montata, ma presto arriverà, attacchi spesso la bambina al seno, anche se prende 10 ml per volta va bene se la attacca almeno 15 volte al giorno”, 15 volte al giorno?! Tornai a casa riflettendo su questo numero, sicuramente la dottoressa si era sbagliata. Appena rientrata a casa probabilmente feci la prima cosa giusta da mamma: mi concessi una doccia e poi misi a letto con la mia bambina a fianco. Riuscì a rilassarmi finalmente, non avevo nessuno intorno, solo mio marito che mi stava aiutando nel modo giusto ( preparandomi da mangiare e accudendomi in modo che io potessi accudire mia figlia), in quel momento osservando la mia bambina nella penombra realizzai che volevo allattarla a tutti i costi, anzi capì che sentivo il bisogno profondo di allattarla, e provai ad attaccarla al seno con dolcezza. Purtroppo vidi subito che la bimba rifiutava il seno, diedi la colpa ai paracapezzoli utilizzati all’ospedale e mandai subito in farmacia mio marito per acquistarne di nuovi, ma anche con quelli la bambina faticava a poppare, eppure in ospedale il biberon che le avevano offerto se l’era letteralmente sgolato (solo più avanti scoprì che è pericoloso offrire il biberon prima del compimento del mese di vita, perché la suzione è diversa tecnicamente da quella al seno, e il bambino appena nato può confondersi ), ricordo le urla di fame di mia figlia e lo sguardo smarrito di mio marito che sembrava dirmi:” corro a comprare il latte artificiale?” , e alla fine cedetti alla paura e lo mandai a comprare alcune confezioni di latte riformulato. Preparai quindi il biberon con il latte artificiale ma prima di darlo alla bambina mi venne un’idea, feci cadere qualche goccia di latte sul mio capezzolo e riproposi il seno alla piccola, lei avvertì subito il sapore del latte in bocca ancora prima di attaccarsi bene al seno e come per incanto iniziò a poppare avidamente, all’inizio avvertì fastidio perché probabilmente non aveva assunto la posizione giusta ma poi dopo qualche minuto ebbi la netta sensazione che mia figlia stesse poppando bene e rimase attaccata per quasi venti lunghi e meravigliosi minuti! Poi si addormentò sazia e felice.
Da quel giorno iniziai ad allattare Agnese a richiesta e iniziai ad informarmi. Nei mesi successivi mille dubbi mi colsero impreparata, avevo avuto le ragadi al seno, avevo temuto di aver perso il latte quando il seno tornò ad essere morbido e non più turgido come dopo la montata, avevo pesato mia figlia troppe volte per la paura che non crescesse abbastanza nutrendosi solo ed esclusivamente del mio latte, avevo dato colpa al mio latte di essere troppo poco nutriente perché Agnese lo richiedeva anche ogni ora, ma per fortuna non mi fermai ai dubbi e trovate le fonti giuste ebbi anche risposte sensate e rassicuranti. Agnese cresceva molto e bene, da parte mia avevo anche cominciato ad apprezzare il fatto di potermi muovere con la bambina senza preoccuparmi di portare con me scalda biberon, acqua e latte in polvere, avevo sempre tutto quello che serviva a mia figlia per sfamarla, inoltre era tutto pronto in un secondo (il tempo di attaccarla al seno), della temperatura giusta e perfettamente sterile (non ho mai fatto bollire un ciuccio o una tettarella di biberon, non li ho mai usati). Il fatto poi di non dovermi preoccupare di seguire degli orari (allattavo a richiesta) mi toglieva da ogni ansia. Alla visita pediatrica del sesto mese di vita, la dottoressa constatò il perfetto stato di salute di mia figlia, registrò una crescita superiore alla media e mi annunciò che ormai la bimba era pronta per lo “svezzamento”, mi diede due fogli A4 con le istruzioni per iniziare, le dosi e gli ingredienti per preparare le “pappe”, il calendario con l’introduzione dei cibi e gli orari ideali che avrei dovuto cercare di seguire e non dimenticò di avvisarmi che non sarebbe stata una passeggiata. Ammetto che ero contenta ed emozionata all’idea che Agnese iniziasse a mangiare qualcosa di diverso dal mio latte, mi sembrava di essere arrivata ad una di quelle tappe fondamentali che segnano la crescita dei nostri figli, come i primi passi, la prima parola, il primo giorno di asilo… ma non avevo considerato una cosa fondamentale, Agnese era davvero pronta per questo cambiamento? Quando preparai per la prima volta quella specie di brodo vegetale con farina di riso e mezzo vasetto di omogeneizzato di carne mi sembrava di essere una specie di chimico al lavoro, dovevo dosare tutto, un cucchiaino di olio di semi, un altro di oliva… tot grammi di farina, e il risultato, almeno secondo il mio gusto, era piuttosto mediocre, per niente appetitoso, comunque sfoderai il mio miglior sorriso e proposi il primo cucchiaino alla mia bambina che mi guardava incuriosita seduta sul seggiolone, l’assaggio non la disgustò ma non ne volle altri. Dopo qualche minuto iniziò a chiedermi insistentemente il seno. Anche la questione degli orari mi aveva creato problemi, fino al giorno prima avevo allattato a richiesta, ora secondo la pediatra, avrei dovuto allattare alla mattina, proporre un po’ di frutta grattugiata a metà mattina, pappona a pranzo, latte materno prima del riposino pomeridiano, poi mezzo vasetto di yogurt, pappona della sera e latte materno prima di dormire… non riuscivo a capacitarmi del perché di queste indicazioni, mia figlia a sei mesi chiedeva il seno ancora svariate volte sia di giorno sia di notte e fino a quel momento non aveva assunto nessun altro cibo, un cambiamento come quello proposto era drammaticamente difficile, la frutta frullata non sembrava interessarla, e se cercavo di posticipare di un pochino la poppata richiesta erano urla disperate, istintivamente sapevo che non era questo il modo giusto di procedere. Tornai dopo una settimana dalla pediatra per chiedere chiarimenti e lei mi rispose stupita:” Signora, se lei preferisce seguire i ritmi della bambina e continuare ad allattarla a richiesta va benissimo, la maggior parte della madri viene da me con l’intento di iniziare quanto prima a diradare il più possibile le poppate e ad iniziare con un’alimentazione diversa per poter magari lasciare il bambino ad altre persone con più facilità”. Avrei preferito che la pediatra non avesse pensato anche per me, ma era stata onesta alla fine e quindi tornai a casa rassicurata e rilassata e subito avviai quella che solo da due anni viene chiamata “alimentazione complementare” (ed oggi è proposta al posto del vecchio programma di svezzamento) , ossia l’introduzione graduale di cibi solidi ma non in sostituzione del latte materno, bensì a completamento: il bambino è libero di assaggiare altri cibi senza costrizioni o imposizioni, la mamma è comunque tranquilla perché il latte materno fornisce al bambino il nutrimento di cui ha bisogno fino a quando non sarà il bambino stesso a chiedere sempre più cibi solidi e a diradare contemporaneamente le poppate. Nel caso mio e di Agnese questo è avvenuto intorno all’ottavo mese di vita, a quel punto la mia bambina vuotava un piattino di minestra o mordicchiava voracemente il pane, e ci eravamo arrivate senza pianti, senza stress e soprattutto con gioia, perché la vera conquista per me è stata quella di vedere la felicità di mia figlia nello stare a tavola a mangiare con mamma e papà.



domenica 2 giugno 2013

La crostata di frutta fresca

  

Anche se questa primavera è partita un po’ sotto tono, abbiamo comunque già iniziato a godere dei nuovi frutti di stagione che sono tantissimi, coloratissimi e buonissimi, e un modo goloso per gustarli è la crostata di frutta fresca, vi propongo quindi la mia versione: una sana e classica crostata alla crema pasticciera e frutta fresca.

Ingredienti

Per la pasta frolla;
  • 200 gr di farina
  • 2 uova
  • 100 gr di zucchero
  • 100 gr di burro
  • 1 cucchiaino di lievito per dolci

Per la crema pasticciera:
  • 4 tuorli
  • 1 limone
  • 80 gr di zucchero
  • ½ litro di latte
  • 2 cucchiai di farina

Frutta fresca a piacere ( es: 1 banana, 200 gr di fragole, 1 kiwi)

Facoltativo: 1 bustina di gelatina per torte


Preparazione

Preparate inizialmente la pasta frolla disponendo a fontana la farina assieme allo zucchero su una spianatoia, nel centro versate il burro ammorbidito a pezzetti, un uovo e un tuorlo e il cucchiaino di lievito (quest’ultimo darà alla pasta frolla una fragranza più delicata, ma potete anche non metterlo, nella ricetta classica non c’è). Impastate velocemente fino a quando la pasta non risulterà omogenea, a questo punto io l’avvolgo nella pellicola e la lascio riposare in frigorifero.

Mentre la pasta frolla riposa preparate la crema pasticciera, in una pentola dai bordi alti mescolate bene i tuorli con lo zucchero (io mi aiuto con una frusta) e aggiungete un poco alla volta la farina, mettete a scaldare in un altro pentolino il latte e quando sarà diventato bollente unitelo un poco alla volta alle uova e alla farina sempre mescolando e infine aggiungete anche la scorza grattugiata del limone. Mettete quindi la pentola sul fuoco e portate ad ebollizione la crema sempre mescolando, mantenete una fiamma media e poi quando inizia il bollore mettete pure al minimo. Passati tre minuti di bollore spegnete e lasciate raffreddare la crema.

Lavate e tagliate la frutta fresca e mettetela da parte.

Ora abbiamo tutto quello che ci serve per comporre il nostro dolce. Ritirate la pasta frolla dal frigo, ungete con il burro la tortiera e aiutandovi con il mattarello e un po’ di farina stendete per bene la pasta frolla e adagiatela nella tortiera. Ponetela quindi  in forno già caldo (circa 180 gradi)  per circa 30 minuti.
Una volta cotta la pasta frolla lasciatela raffreddare.
A questo punto sulla base di pasta frolla stendete un strato generoso di crema pasticciera e sopra la crema mettete tutta la frutta fresca che desiderate.
Io alla fine della preparazione stendo sopra l’intera crostata un velo di gelatina per torte, (trovate le bustine in tutti i supermercati nel reparto torte e dolci) perché aiuta a conservare la frutta senza che si ossidi presto all’aria, ma non è assolutamente necessario, anche perché probabilmente la crostata verrà consumata in brevissimo tempo J

lunedì 27 maggio 2013

Come scegliere la scuola materna




La scelta della scuola materna non è scontata e non è sempre facile perché innanzitutto nel nostro paese l’offerta è insufficiente e troppo spesso “omologata”, esistono scuole dell’infanzia private che hanno fatto della qualità del servizio erogato un punto di forza, basti pensare alla scuola steineriana  o alla scuola montessori, ma la maggior parte della famiglie non possono permettersi l’impegno economico che richiede la loro frequentazione, sono comunque convinta che si può e si deve pretendere un livello di qualità medio anche in una scuola dell’infanzia statale, parrocchiale o comunale e per giudicare il livello di qualità, a mio parere, si deve tenere conto di alcuni aspetti fondamentali, consiglio quindi di indagare in fase di scelta soprattutto su questi:


  1. Numero di alunni per insegnante

Più sono i bambini gestiti dalla singola maestra e più il livello di qualità della scuola si abbassa, è inevitabile, le stesse maestre lo sanno benissimo, tante volte mi sono sentita ripetere dalla maestra di mia figlia che tutto sarebbe più facile e più stimolante per il bambino se il numero di alunni per classe fosse al massimo 15.  Spesso in una classe di 27 bambini (come quella che frequentava mia figlia) ci sono dei “tempi morti” per assolvere determinate incombenze, come per far uscire all’aria aperta i bambini d’inverno poiché per vestire tutti i bambini con capotto e berretto si perde troppo tempo, oppure si è costretti a saltare il rituale del lavaggio dei dentini dopo pranzo, altrimenti non si ha il tempo di portare avanti l’attività didattica. In generale con meno bambini le maestre possono trasmettere di più, organizzare più attività, seguire personalmente meglio ogni singolo alunno.

  1. Tempo dedicato all’attività all’aperto

Anche se la struttura che avete scelto non possiede un parco giochi meraviglioso, è importante informarsi sul tempo che nell’organizzazione della giornata tipo a scuola è dedicato al gioco e all’attività all’aperto. Troppo spesso infatti a promesse di uscite giornaliere seguono settimane di attività solo all’interno dell’edificio scolastico. E’ importantissimo che un bambino piccolo possa godere del gioco all’aperto e di tutti i benefici di una buona ossigenazione, inoltre i pediatri raccomandano di far uscire i bambini giornalmente e per almeno un’ora e mezza anche per diminuire le possibilità di epidemia di virus stagionali, che proliferano e colpiscono un maggior numero di bambini quando l’attività didattica è fatta regolarmente solo al chiuso. Molte maestre giustificano il poco tempo dedicato all’attività all’aperto lamentando il poco tempo da dedicare all’attività didattica, ma il parco della scuola deve essere considerato come un’aula per l’attività didattica, altre volte invece si decide senza interpellare i genitori che durante l’inverno è meglio sospendere i giochi all’aperto, ma in realtà il freddo è molto meno pericoloso del caldo afoso per il bambino, che coperto bene deve uscire soprattutto d’inverno quando è massimo il pericolo di contagio da malanni stagionali, tra l’altro il freddo spesso è solo una banale giustificazione, probabilmente il dover vestire quasi trenta bambini comporta troppo dispendio di tempo.

  1. L’accoglienza

Una scuola di qualità deve mettere a suo agio il più possibile il bambino, soprattutto durante l’inserimento del primo anno, le maestre devono prevedere un periodo in cui il genitore possa in tutta tranquillità accompagnare il proprio figlio nel percorso di inizio della nuova e importante esperienza, sappiamo che ogni bambino è diverso ed ogni bambino ha esigenze diverse, lasciare  spazio e tempo all’adattamento del bambino al nuovo ambiente e ai nuovi ritmi è non solo auspicabile ma doveroso.
Per quanto riguarda poi l’accoglienza giornaliera dei bambini all’entrata a scuola devo spendere alcune parole: spesso la scarsità di personale (o meglio il bilancio economico della scuola) impone che i bambini vengano accolti tutti nel salone fino all’inizio delle attività didattiche, ma una buona accoglienza giornaliera, organizzata nel rispetto del bambino, dovrebbe prevedere che il bambino sia accolto dalla sua maestra e nella sua classe, in un clima di tranquillità e poca confusione, in un ambiente rilassante, molti asili invece impongono ai bambini di attendere l’inizio delle attività raccolti in un salone, controllati da insegnanti diverse, in un ambiente caotico e poco organizzato e solitamente, tenendo conto anche di chi usufruisce dell’entrata anticipata, si tratta di un tempo di attesa intorno ai 40 minuti o anche un’ora. Ho potuto constatare la differenza tra i due tipi di accoglienza sua mia figlia, nei giorni in cui la scuola “riesce” ad organizzare l’accoglienza in classe i bambini sono molto più sereni, si “staccano” al momento del saluto dai genitori molto più facilmente e contenti iniziano subito a giocare con i compagni, invece nei giorni in cui l’accoglienza viene fatta in salone i bambini sono più spaesati, più nervosi, non interagiscono subito come in classe, faticano a lasciare andare la mamma, tutto è più difficile.

  1. Le punizioni

Ero convinta che nel 2013 non si parlasse più di “castigo” alla scuola materna, ero convinta che con tutti i passi avanti della pedagogia e della psicologia, l’uso del castigo fosse stato bandito dai metodi didattici applicati sui bambini di tre, quattro e cinque anni, invece ho scoperto proprio con l’entrata all’asilo di mia figlia che non è così. Il castigo o la punizione sono ancora largamente utilizzati come metodi educativi dalle maestre, solitamente si tratta di punizioni “soft” come il time out (ossia lasciare il bambino per qualche minuto seduto in disparte rispetto ai compagni per farlo “riflettere” su quello che ha commesso), oppure può essere una nota scritta su un tabellone appeso in classe, altre volte si tratta di punizioni più pesanti. In ogni caso non date per scontato nulla, chiedete con molta franchezza alla futura maestra di vostro figlio o alle educatrici che incontrerete agli Open day della scuola come si comportano quando il bambino non “esegue un ordine” o non si “comporta bene”. Ricordatevi che vostro figlio per quanto piccolo ha gli stessi diritti di una persona adulta, e tra questi c’è il rispetto assoluto del suo corpo e della sua mente, troppe volte ho assistito personalmente a scene in cui un educatrice si rivolgeva ai bambini con epiteti o urlando, nulla deve giustificare questo, e non aggiungo altro.

  1. Fattore economico, distanza.

Ho elencato per primi i punti che ritengo importantissimi, ovviamente poi nella scelta hanno il loro peso anche il costo della scuola e la comodità di averla quanto più possibile vicina, non nego che all’inizio, nella mia inesperienza, ho basato quasi esclusivamente su questi aspetti la mia scelta, ero davvero convinta che più o meno ogni asilo fosse valido e comunque non molto diverso da tutti gli altri… sbagliavo.

  1. Fidatevi del vostro istinto

Ho lasciato questo punto per ultimo ma è importantissimo, forse è quello che davvero vi farà decidere alla fine sulla scuola per vostro figlio, perché alla fine la differenza più grande nella qualità in una scuola sia pubblica sia privata la fanno le singole persone, potete scegliere la struttura più bella e più all’avanguardia del paese ma se la maestra di vostro figlio non è empatica, non riesce a trasmettere emozioni, non riesce a coinvolgere i bambini, non serve a nulla. Il bambino in età prescolare ha bisogno ancora moltissimo del punto di riferimento, della persona adulta cui chiedere aiuto, protezione, affetto, solidarietà o anche solo un sorriso, a scuola se la maestra trasmette e da tutto questo state sicuri che i bambini che segue staranno bene, nel momento in cui troverete un’educatrice che a pelle vi piace, vi ispira fiducia, la sentite idonea per il vostro bambino, fermatevi perché la ricerca è sicuramente finita.


La scuola materna non è obbligatoria, ma per molte famiglie è necessaria perché entrambi i genitori lavorano e non c’è la possibilità di seguire i propri figli fino all’inizio della scuola dell’obbligo, ma credo anche che possa diventare un’esperienza positiva e stimolante per il bambino  se viene accolto in un ambiente rispettoso della sua integrità e della sua autenticità, sono convinta che è possibile per un bambino frequentare volentieri “l’asilo”, e noi genitori possiamo fare molto perché questo si verifichi nella maggior parte delle scuole, dobbiamo solo non stancarci di interessarci attivamente a quello che succede giornalmente a scuola, dobbiamo mantenere un dialogo costante con le educatrici, non avere timore di chiedere, chiarire, informare, e soprattutto dobbiamo ascoltare il nostro bambino, lui per primo ci fornirà elementi per agire e per aiutare a migliorare la realtà che lo circonda.

venerdì 17 maggio 2013

Una giornata di pioggia


Le piogge battenti di questi giorni hanno messo a dura prova oltre che la mia pazienza anche la mia creatività perché i miei bambini sono abituati ad uscire praticamente con qualsiasi tempo, l’idea di trascorrere un’intera giornata tra le mura domestiche proprio non è contemplata in casa nostra, ma ogni tanto capita di dover sottostare a questa imposizione come nel caso di febbre e raffreddore o nel caso di diluvio universale come si è verificato in questi giorni.
Sono riuscita comunque ad intrattenere i miei piccini abbastanza bene, anche se spero che il sole si faccia vedere quanto prima, e questo è l’elenco delle attività che mi hanno aiutata a tenere lontana la noia:

La pasta di sale

E’ uno di quei giochi che non passerà mai di moda, i bambini davvero si divertono moltissimo a creare forme, personaggi, o anche solo a pasticciare. Per dare forma alla pasta bastano i semplici utensili di cucina come cucchiai, forchettine, coppa pasta e bicchieri. La pasta di sale si trova in commercio presso qualsiasi supermercato o negozio di giocattoli, ovviamente si paga la marca perché gli ingredienti sono poverissimi ed economici, proprio per questo motivo la si può produrre anche in casa facilmente ed eventualmente si possono acquistare dei coloranti alimentari per darle colori diversi, riporto qui uno dei tanti link con la ricetta della pasta di sale fatta in casa.


L’armonica

Ho scoperto questo strumento per caso, mia figlia mi aveva chiesto un flauto e quando mi sono decisa a procurarmelo sono incappata in uno scaffale pieno di piccole armoniche per bambini, del tutto uguali a quelle normali ma più piccine, il costo era davvero modico, ed ho deciso di acquistarla al posto del flauto… è stato un successone, non solo per Agnese che ha ormai quattro anni ma anche per Paolo di due anni. Per i bambini più piccoli l’armonica da subito soddisfazione perché il suono prodotto è comunque sempre piacevole, è maneggevole, facilissima da usare e divertente, ovviamente più avanti farà la sua comparsa in casa anche il flauto, ma intanto mi godo i concertini improvvisati con l’armonica!
Io ho acquistato la nostra armonica in un ipermercato nel reparto giocattoli, ho speso 6 euro.

Balliamo!

Cosa c’è di meglio che approfittare della clausura forzata per fare un po’ di ginnastica con i bambini? Basta un po’ di spazio (per noi lo spazio del tappeto nella zona salottino) e un po’ di musica. Io ne approfitto per muovermi un pochino e i bambini oltre a divertirsi si “stancano” in modo sano J In famiglia tutti amiamo la salsa cubana e anche se non la conoscete come genere di musica ve la consiglio per fare ginnastica con i bambini perché è gioiosa e ritmata ( ma va benissimo qualsiasi musica vi piaccia), noi facciamo partire il cd e cominciamo con un po’ di riscaldamento, corsetta sul posto, qualche minuto di ballo libero  e poi facciamo qualche esercizio a terra di allungamento, io mi impegno a dovere e i bambini mi imitano se ne hanno voglia o si rotolano sul tappeto ridendo, mia figlia ultimamente poi ha aggiunto agli esercizi le capriole a terra che esegue molto meglio di me e gli esercizi per mettersi in verticale sulle mani…. Quelli io non li faccio, non ne sarei capace, ma lei si! Ovviamente sono sempre pronta a sorreggerla. Insomma per chi come me è in realtà abbastanza pigro quando si tratta di fare un po’ di  moto giornaliero, farlo con i bambini come passatempo può essere un buon punto di partenza!


Coloriamo

Va bene… ho scoperto l’acqua calda, so perfettamente quanto sia divertente per i bambini colorare e disegnare, è uno di quei giochi amati da sempre e da tutti i bambini, però volete mettere la gioia di costruirsi da soli gli acquarelli? In questi giorni Agnese mi ha chiesto i colori per dipingere con il pennello ma non li avevo in casa, ma avevo un bel po’ di pennarelli ormai secchi che stavo per buttare e internet ci ha fornito una bella idea: qualche bicchierino o vasetto di acqua tiepida e vecchi pennarelli da buttare, basta immergere la punta del pennarello nell'acqua del vasetto e attendere qualche minuto, l’acqua si colorerà presto del colore del pennarello ed ecco creati dei colori ad acqua utilizzabili per dipingere. Certo i colori così ottenuti sono molto tenui, ma in mancanza di quelli veri ci si diverte comunque!




Il garage delle macchinine

Mio figlio di due anni adora le automobiline, passerebbe ore a guardarle, studiandone i dettagli, a controllare le ruote, a farle girare, ovviamente con il tempo ne ha accumulata qualcuna e devo ammettere che non ne sarebbe mai “sazio”, ma chiaramente non posso permettermi di acquistare modelli di macchinine ogni giorno e tutto sommato quelle che già possiede non sono poche, solo sono già conosciute, ma se si prova ad osservarle tutte assieme, schierate in fila con ordine, quasi fossero parcheggiate per bene e pronte per essere usate, acquistano immediatamente una nuova luce, sembrano nuove e tutte assieme fanno un certo effetto di abbondanza che non guasta mai. Mi sono procurata una vecchia scatola da scarpe bella grande e l’ho rivestita con una bella carta colorata e posizionata aperta su uno dei lati più lunghi ed ho allineato all'interno tutte le macchinine di mio figlio, quelle che non ci stavano ovviamente le mettevo in seconda fila. Io ho impersonato il parcheggiatore e Paolo e Agnese erano i clienti che di volta in volta sceglievano la macchina che preferivano e le facevano fare un giro per poi tornare a parcheggiarla e sceglierne una nuova…. Ci siamo divertiti e tenuti occupati per una buona mezz’ora :-)

giovedì 9 maggio 2013

Zuppa di Legumi (velocissima)




Uno dei miei strumenti preferiti in cucina è sicuramente la pentola a pressione, a casa dei miei genitori l’ho sempre vista sul fuoco ed è quindi stato naturale continuare ad usarla anche a casa mia, riduce i tempi di cottura e permette anche di cucinare in modo molto sano, diluendo poco per esempio le verdure o cucinando al vapore al suo interno. Con la pentola a pressione preparo in poco tempo una zuppa di legumi molto buona che arricchisco di volta in volta con le verdure di stagione che ho a disposizione, per questo motivo non è mai sempre “la solita minestra”, inoltre è un concentrato di vitamine e proteine vegetali, sazia molto senza appesantire e ovviamente i miei bambini ne vanno ghiotti (se fosse altrimenti non la proporrei J  ).

Ingredienti per 4 persone

  • 250 gr di legumi e cereali assortiti (in commercio si trovano dei sacchettini da 500 gr  di legumi e cereali, per esempio lenticchie e orzo, fagioli-piselli-ceci e farro, ecc.., oppure componete il vostro mix di legumi e cereali a piacimento, o anche solo di legumi se preferite)
  • 1 cipolla media
  • 1 carota media
  • 1 patata
  • 1 costa di sedano
  • 1 zucchina
Aggiungete poi tutta la verdura di stagione che vi piace di più (potrebbe essere qualche foglia di verza o un piccolo peperone (cista benissimo)), ecc.
·         2 cucchiaini di dado granulare biologico
·         1 litro d’acqua
·         Olio d’oliva extravergine

Preparazione

Se utilizzate la pentola a pressione potete anche evitare di lasciare in ammollo per qualche ora i legumi secchi altrimenti con una cottura in pentola normale dovete prevedere questa operazione prima di procedere con la preparazione.
Sciacquate bene sotto l’acqua corrente il mix di legumi e metteteli da parte. Lavate e tagliate a piccoli pezzi tutta la verdura e mettetela nella pentola, aggiungete un giro d’olio d’oliva e mettete la pentola sul fuoco, fate rosolare per qualche minuto la verdura e aggiungete a questo punto i legumi, lasciate rosolare ancora due e tre minuti, quindi aggiungete anche il litro d’acqua e il dado vegetale, chiudete la pentola con il coperchio a pressione e dimenticatevi della minestra per mezz’ora circa, ricordatevi solo che dopo che la pentola inizia a “fischiare” dovete abbassare il fuoco al minimo.
 Se utilizzate invece una pentola normale dovete prevedere circa due ore di cottura e ovviamente più acqua (circa 2 litri).



Trascorsa mezz’ora, spegnete il fuoco e sfiatate la pentola a pressione, quindi scoperchiatela e controllate il grado di cottura dei legumi, se dovessero risultare ancora un po’ duri, rimettete il coperchio e continuate la cottura a pressione per altri dieci minuti.

Una volta pronta la zuppa, potete servirla con l’aggiunta di un filo d’olio d’oliva a crudo e un po’ di parmigiano grattugiato. Buon appettito!



domenica 28 aprile 2013

Dormi bambino dormi...



Quando tornai a casa con la mia primogenita appena nata ero davvero esausta, il parto mi aveva lasciata senza forze (un parto naturale e senza complicazioni ma vissuto con poca preparazione e tanta paura), avevo davvero tanto bisogno di riposare, non vedevo l’ora di farmi un bel sonno ristoratore di almeno otto ore! Ma con il passare dei giorni mi resi conto che i nuovi ritmi imposti dalla mia bambina non erano molto in sintonia con i miei, non riuscivo proprio a capire perché si svegliasse puntualmente ogni tre ore, sapevo che i bambini molto piccoli mangiano anche durante la notte, ma in cuor mio avevo sempre sperato che Agnese fosse come quei “numerosi” bambini che dormono tutta la notte dal primo giorno di vita extrauterina. Avevo deciso di allattare la bimba a richiesta, del resto la pediatra stessa me lo aveva raccomandato, quindi la notte al richiamo della piccola accorrevo per allattarla, e lei effettivamente poppava moltissimo fino a crollare di nuovo in un sonno profondo e beato. Avevo sistemato la culletta accanto al lettone, ovviamente al risveglio della bambina dovevo comunque alzarmi a sedere, allattare la piccola e poi senza svegliarla risistemarla nella culla, ricordo che dopo due operazioni di questo tipo a distanza di due, tre ore l’una dall'altra, io ero così sveglia e nervosa che non mi riaddormentavo più. Nel giro di tre settimane ero così esaurita e nevrotica che anche mio marito aveva iniziato a preoccuparsi: durante la giornata infatti io ero da sola, mio marito partiva la mattina presto e rientrava dopo le diciotto, facevo quello che potevo per accudire al meglio la piccola, cercavo di riposare quando anche lei dormiva durante il giorno, ma la notte stava diventando un incubo, poi subentrarono le coliche e fu la fine… La mia fortuna fu quella di prendere una decisione prima di perdere completamente lucidità e determinazione, mio marito mi aiutò moltissimo anche decidendo di parlare con una consulente dell’allattamento e facendosi consigliare alcune letture utilissime e la situazione piano piano migliorò.
Decisi di assecondare la bambina nel suo bisogno di nutrirsi e di contatto ma di assecondare contemporaneamente anche me stessa, quindi il primo cambiamento fu quello di tenere Agnese accanto a me durante la notte, questo accorgimento banale se volete, mi permise di riposare molto meglio, continuavo ad allattare a richiesta infatti ma non dovevo più alzarmi e spesso mentre allattavo rimanevo in una sorta di dormiveglia che mi consentiva poi di riprendere a dormire in fretta. Decisi di non aspettarmi più una notte di sonno intera, mi accorsi infatti che alimentando questa speranza vivevo in una angosciante attesa, Agnese continuava a svegliarsi, verso i sei mesi anche molto più spesso dei mesi precedenti, quando finalmente capì che era del tutto normale e mi rassegnai ai nuovi ritmi, riuscì anche ad accettarli e a viverli molto meglio.
A volte l’informazione può essere un aiuto importantissimo: quando finalmente mi decisi a leggere qualcosa sulla fisiologia del bambino, mi si aprì un mondo sconosciuto e soprattutto ottenni risposte a molte domande, mi rilassai, presi fiducia e imparai anche ad ascoltare di più quello che l’istinto mi suggeriva (senza più rimanere frastornata dai mille e contrastanti consigli ricevuti ).
I risvegli nel neonato e nel bambino piccolo sono veramente normali e fisiologici, durante i primi tre anni di vita il bambino matura anche nel modo di riposare, avvicinandosi poco alla volta al sonno di una persona adulta, spesso molti genitori si chiedono come “insegnare a dormire “ al proprio bambino, ma in realtà il dormire come il mangiare sono bisogni innati nell'uomo, non c’è proprio nulla da insegnare, senza dormire e senza mangiare moriremmo, il bambino se lasciato libero sa perfettamente quanto riposare e quanto mangiare, a noi genitori rimane semplicemente il compito di “aiutarlo”  a soddisfare al meglio questi bisogni primari, offrendo il seno o il biberon a richiesta, non negando il contatto (bisogno primario almeno quanto il mangiare), e soprattutto assecondandolo per quanto possibile nei suoi ritmi, un neonato compie già sforzi incredibili per adattarsi alla nuova vita fuori dall'utero materno, il suo piccolo corpo cresce ad un ritmo incalzante che richiede un grande dispendio di energie e pasti ravvicinati, dal punto di vista neurologico poi nei primi due anni si compie un vero proprio prodigio già avviato durante i nove mesi di gestazione. Dobbiamo assolutamente tenere conto di tutto questo, so che la stanchezza per una neo mamma può arrivare a limiti pericolosi, ma trovo più ragionevole chiedere ad un altro adulto aiuto pratico piuttosto che chiedere ad un neonato già impegnato a sopravvivere e crescere al meglio ulteriori sforzi e ulteriore stress, con la mia prima bambina ho capito che è necessario chiedere aiuto  durante i primi mesi dopo il parto, aiuto vero, come farsi preparare un pasto caldo ogni tanto, farsi aiutare nel pulire casa, trovare la lavatrice avviata e un po’ di biancheria stirata può cambiare la giornata ad una mamma provata. A volte l’aiuto che viene offerto più spesso è quello di occuparsi per qualche ora del neonato per lasciare che la mamma “si riposi”, ma almeno per quanto mi riguarda non è questo ciò di cui avevo bisogno, la mia bambina poppava spesso e istintivamente desideravo nei primi mesi non allontanarmi da lei, tra l’altro se mi capitava di restare da sola venivo presa dal delirio di normalità e cercavo subito di riprendere le redini della casa, di fare tutto quello che non riuscivo a fare assieme alla piccola, altro che riposare!
Non credo che esistano metodi infallibili per riposare meglio dopo l’arrivo del nostro bambino o metodi per indurre il bambino a dormire di più, credo invece che ogni famiglia sia in grado di trovare con il tempo un proprio equilibrio, cercando di porre sempre e comunque in primo piano i bisogni primari di ogni componente del nucleo famigliare, se mi impongo di sopportare il pianto di mio figlio per mezz’ora o un’ora perché credo che in questo modo lui si abituerà a non chiamarmi più per dormire, non sto rispettando né mio figlio né me stessa.
Infine bocciati i metodi (spesso venduti come soluzioni miracolose e veloci ai vari problemi del sonno dei bambini), ribadisco invece il valore prezioso e utile dell’informazione scientifica e responsabile, conoscere il motivo dei risvegli notturni dei nostri bambini, le dinamiche del sonno infantile, l’importanza delle poppate notturne, le ripercussioni di un pianto disperato e prolungato, il motivo per il quale il bambino cerca il contatto con la mamma per dormire, il vantaggio e la sicurezza del co-sleeping , possono ridarci serenità, ricaricarci di ottimismo e di positività e aiutarci nell'individuare la strada giusta da percorrere.
A questo proposito vi rimando a tre libri che personalmente mi hanno dato la possibilità di compiere scelte consapevoli, di trovare soluzioni in sintonia con i bisogni della mia bambina e di attingere a informazioni indispensabili:

“ Besame Mucho” di Carlos Gonzales, già citato in questo blog
“Genitori di giorno e … di notte” di William Sears
“ E se poi prende il vizio? – Pregiudizi culturali e bisogni irrinunciabili dei nostri bambini” di Alessandra Bortolotti

Il mio secondo bambino non ha mai dormito in una culla, nemmeno durante le due notti trascorse all'ospedale dopo il parto, avevo a disposizione un letto con sponde e ho potuto riposare molto bene in tutta sicurezza con il mio bambino accoccolato sul seno, ricordo che le ostetriche si sono meravigliate perché a differenza degli altri neonati il mio Paolino non piangeva mai…. 

lunedì 15 aprile 2013

Le "strase"





Ricordo che quando avevo circa quattro anni mia mamma ebbe un’idea davvero geniale per far divertire me e mia sorella: un giorno riempì un grande cesto di vimini di suoi abiti ormai datati, di vecchie tende e vecchie lenzuola e ce lo mise a disposizione. Vi assicuro che quel cesto fu per anni uno dei passatempi più gettonati, mia sorella ed io passavamo ore a travestirci abbinando vestiti e pezzi di stoffa nei modi più svariati e immaginando di essere i personaggi più disparati, un giorno eravamo in pieno medioevo alle prese con cavalieri e damigelle e storie di salvataggi o di attacchi al castello, il giorno dopo magari si giocava semplicemente a “mamma casetta” e allora l’abbigliamento di mamma serviva per darci quell'aria da “adulte” che cercavamo di copiare da nostra madre, capitava inoltre che spesso venissero a trovarci due nostri cuginetti che avevano la nostra età e neppure loro potevano resistere al fascino del cesto delle “strase” (in dialetto veneto strase significa stracci e in casa nostra  il nostro gioco preferito veniva chiamato confidenzialmente così), in quattro era ancora più bello travestirsi, mia sorella ed io aiutavamo i nostri cugini a indossare mantelli e armature improvvisati e poi la nostra camera o il nostro giardino (si giocava spesso anche all'aperto) non esistevano più, c’erano solo castelli, principi, principesse e boschi incantati.

 Le “strase” sono legate anche ad un episodio molto particolare e non piacevole, probabilmente alcuni di voi si ricorderanno del disastro di Cernobyl, quando esplose la centrale nucleare e una nube radioattiva si alzò in cielo contaminando terreni, vegetazione e purtroppo uomini, donne e bambini, era l’aprile del 1986 io avevo dieci anni e in quei giorni, tornata da scuola, giocavo spessissimo con mia sorella in giardino, complice la bella stagione, e con noi c’era ovviamente il nostro cesto di vimini.
La nube radioattiva portata dai venti attraversò per mesi l’Europa e anche in Italia per un po’ ci fu il divieto di consumare prodotti freschi come verdura, latte, frutta, e mia mamma preoccupatissima per la nostra salute non solo mandò al macero gli abiti che avevamo usato nei giorni in cui si presumeva fosse passata la nube dalle nostre parti, non solo ci nutrì per settimane con latte condensato, verdura surgelata, legumi e tutto ciò che era sicura fosse stato prodotto prima del disastro di Cernobyl, ma …. fece sparire il cesto delle strase. Avevo già dieci anni, ma vi assicuro che non fu per niente facile accettare di separarmi dal gioco che mi aveva accompagnata lietamente per anni. Certo avrei potuto chiedere a mia mamma di procurarmene un altro, probabilmente lo feci anche, ma quegli “stracci”, quegli abiti ormai stinti da lavaggi di anni (mia mamma ogni tanto metteva in lavatrice tutto il contenuto del cesto) erano ormai diventati insostituibili.

Mia figlia Agnese ora ha quattro anni e ho già cominciato a riempire “lo scatolone dei vestiti”, ogni volta che mi dedico al “cambio degli armadi stagionale” mi capita sempre di trovare qualcosa da aggiungere allo scatolone, e lei ne è contentissima. Le piacerebbe coinvolgere anche il fratellino più piccolo di due anni, che tutto sommato si presta qualche volta a farsi vestire da principe o da lupo o da drago, ma probabilmente è ancora un po’ presto per lui, Agnese mi dice che non interpreta i ruoli a dovere, ma c’è tempo e lo scatolone intanto si arricchisce di nuove “strase” pronte per aiutare la fantasia a volare verso mondi sempre nuovi e meravigliosi.

martedì 9 aprile 2013

La torta Monnalisa




Chissà se qualcuno di voi si ricorda del famoso manuale di nonna papera… era un manuale di cucina simpatico e ricco di ricette da preparare per adulti e bambini, credo che non venga ristampato da anni e mi dispiace moltissimo, l’unica copia che mia mamma possedeva probabilmente è stata persa durante il loro ultimo trasloco. Da questo manuale ho tratto la ricetta per la prima torta in assoluto che ho preparato, la torta Monnalisa, si tratta di una ricetta semplice ma da grande soddisfazione perché lievita molto ed è veramente buona. E’ talmente semplice e veloce che la preparo quasi settimanalmente ai miei bambini, va benissimo infatti per la colazione, per una merenda e poi farcita con crema pasticcera o con la confettura fa la sua figura anche come dessert o come torta di compleanno.


Ingredienti:

farina bianca 350 gr
zucchero 250 gr (ma potete abbassare anche a 200 gr se la volete meno dolce)
uova 2
limone biologico 1 (ma potete usare anche una fialetta di aroma al limone)
latte 1 bicchiere
olio di semi 1 bicchiere
lievito per dolci 1 bustina
sale 1 pizzico



Preriscaldate il forno con modalità non ventilata a 180 gradi.

Innanzitutto si separano i tuorli dagli albumi (questi ultimi vanno conservati e montati a neve più tardi) , in una ciotola capiente lavorate quindi i tuorli con lo zucchero fino ad ottenere un composto spumoso. Aggiungete quindi al composto l’olio e un po’ per volta la farina , sempre mescolando bene, aggiungete ora il latte, il succo e la scorza grattugiata di un limone (o la fiala di aroma al limone), il sale, il lievito e lavorate bene il composto, io uso le fruste elettriche e mi risparmio tempo e fatica. Sempre con la frusta elettrica montate a neve gli albumi e aggiungeteli al composto amalgamandoli con un cucchiaio sempre dal basso verso l’alto per non smontare gli albumi.
Imburrate e infarinate uno stampo per torte a cerniera e versateci il composto.
Infornate quindi la torta e lasciate cuocere per circa 45 minuti. Un po’ prima dello scadere del tempo previsto per la cottura controllate, affondando uno stuzzicadente nella torta, che sia cotta (se ritirate lo stuzzicadente pulito, significa che la torta è pronta).

Lasciate raffreddare la torta e poi servitela cosparsa di zucchero a velo, o se preferite ricavate dalla torta due o tre strati e farcitela con crema pasticcera o marmellata.


Lo sculaccione



La mia generazione fa ancora molta fatica a liberarsi dal mito dello “sculaccione al momento giusto” e più in generale dalla convinzione che la punizione corporale sia necessaria ai fini di una buona educazione. Il motivo è semplice, le generazioni passate ne hanno fatto un largo uso, e siamo tutti portati inconsapevolmente a ripercorrere i metodi educativi dei nostri genitori, loro sono stati i nostri modelli di riferimento, i nostri esempi, loro ci hanno insegnato cosa si doveva fare per vivere e sopravvivere. Fortunatamente la società si evolve, magari più lentamente di quanto vorremmo, ma i segnali di un progresso e della conquista di maggiore consapevolezza ci sono. Sono convinta che la punizione corporale (sculaccione, schiaffo, strattone, tirata di capelli, ecc..) non ha nulla di educativo e che non esista motivo che lo giustifichi a nessuna età e in nessun caso. Mi è capitato spesso di vedere sentimenti di compassione e di indignazione innanzi alla scena di un padrone che punisce un cane  perché magari era scappato o aveva abbaiato senza motivo, (oggi tra l’altro nei centri di addestramento per cani la punizione corporale non è assolutamente presa in considerazione, piuttosto si procede con il rinforzo positivo) ma se al parco giochi un genitore assesta uno sculaccione al proprio bambino perché non si comporta a dovere non dico che raccolga sempre un applauso, ma la cosa passa spesso nell'indifferenza generale. Ho cominciato quindi a chiedermi se è davvero possibile che i nostri bambini siano meno degni di rispetto di un cucciolo d’animale. Eppure la punizione corporale è violenza, è inutile girarci intorno, nel momento in cui colpisco il corpo di un bambino con l’intento di procurargli dolore o anche solo paura è violenza. Le incomprensioni, i litigi, i dissapori fanno parte delle relazioni umane, anche tra moglie e marito, tra partner, è difficile essere sempre e comunque d’accordo, è invece normale che a volte si crei un clima di tensione e che la rabbia si faccia sentire, ma non per questo è scontato che “si arrivi alle mani”; se mio marito mi picchiasse in un momento di rabbia potrei denunciarlo, ma un bambino? Cosa può fare un bambino piccolo quando viene picchiato? E perché il corpo di un adulto deve essere rispettato più del corpo di un bambino? Nessun adulto accetterebbe senza provare frustrazione, rabbia, senso di impotenza e di ingiustizia,  di essere costretto a fare qualcosa sotto la minaccia di una punizione corporale, eppure pretendiamo questa mutua accettazione da parte dei nostri figli: “ se non fai come ti dico, vedrai quante ne prendi!”, quante volte abbiamo sentito questa frase? Provate a minacciare così un adulto e vedrete la reazione! Purtroppo dobbiamo ricordarcelo (perché troppo spesso ce lo dimentichiamo): un bambino è una persona e in quanto persona ha per lo meno gli stessi diritti di un adulto. La punizione corporale come metodo educativo è quanto di più incoerente ci sia, un genitore generalmente si prodiga nell'insegnare al proprio figlio che “ le mani addosso non si mettono”, credo che sia capitato ad ogni genitore di intervenire in qualche disputa tra bambini in cui si rischiava di veder volare qualche “manata” o qualche spintone, eppure spesso quello stesso genitore si permette di correggere il proprio figlio a suon di scapaccioni, che messaggio credete possa recepire il bambino in questo modo? Il bambino impara soprattutto dall'esempio, se il genitore per primo usa le mani per risolvere i conflitti (sia con i figli sia con gli adulti) il bambino sarà inevitabilmente portato ad applicare lo stesso sistema, con la violenza si insegna solo ad essere violenti. E’ possibile che nell'immediato qualche effetto si ottenga con la punizione corporale o con la minaccia della punizione, il bambino sa perfettamente di essere più debole del genitore e probabilmente per pura paura (e non necessariamente perché ha capito il motivo che ha fatto scattare la punizione) si comporterà come desiderate, ma quando sarà abbastanza grande e forte da imporre anche fisicamente la propria volontà non è assicurato che non usi lo stesso sistema per ottenere quello che vuole con voi o con le altre persone, oppure al contrario potrebbe sviluppare una mancanza di fiducia  nel prossimo assieme ad un senso di impotenza tali da diventare la classica vittima della prepotenza altrui. La punizione corporale infatti passa solamente un messaggio in modo chiaro al bambino: l’unica legge che vale è legge del più forte, è questo l’insegnamento che vogliamo davvero lasciare ai nostri figli?
In alcuni paesi europei lo sculaccione assieme a qualsiasi altra punizione corporale è proibita per  legge, in Italia si è perseguibili per legge per “abuso di mezzi correttivi” quando ormai il bambino è finito all'ospedale magari, e le statistiche in questo senso non sono certo consolanti, c’è molto da fare ancora per tutelare al meglio il nostro futuro, i nostri figli, loro sono quanto di più prezioso abbiamo, sono la promessa di una società migliore, libera da violenza e prevaricazione, perché ogni bambino viene al mondo con unico bisogno ed un unico desiderio: essere amato e amare, siamo noi adulti che purtroppo violando sistematicamente l’integrità del bambino, negandogli il rispetto dovuto, non riconoscendo la sua autenticità ne facciamo con il tempo un altro adulto incapace di trovare soluzioni alternative alla violenza.

Per approfondire : http://www.nontogliermiilsorriso.org/drupal/articoli/botte-fin-di-bene-non-esistono#.UWQmx6KzJsM

mercoledì 3 aprile 2013

La pizza!


Ogni settimana mi dedico con i miei bambini alla preparazione della pizza fatta in casa, ormai siamo diventati talmente pratici ad impastare e a stendere la pasta che ci capita di rado di mangiare la pizza fuori , anzi gli amici si auto invitano per venire a mangiare la nostra! Inoltre ho sperimentato tipi di farine diversi, con risultati sempre migliori, attualmente utilizzo della farina bianca non raffinata e della farina integrale, in parti uguali… oltre a dare all'impasto un sapore unico e buonissimo fa anche molto bene!

Eccovi intanto gli ingredienti:
  •  250 gr di farina per pane, o farina di frumento tipo 0 (meglio ancora tipo 1)
  • 250 gr farina integrale o di kamut (buonissima)

(potete sempre utilizzare solo farina bianca comunque, se non vi piace quella integrale, o mettere un terzo di integrale e due terzi di farina bianca)
  • lievito di birra fresco (io lo preferisco a quello secco) un cubetto (circa 25 gr)
  • olio evo
  • sale


  • Formaggi a piacere (mozzarella, asiago, caciotta morbida, morlacco, ecc.. basta che abbiano una pasta abbastanza morbida da fondere un po’ con il calore)


  • Passata di pomodoro


E poi lasciatevi guidare dalla fantasia, io utilizzo quello che di volta in volta trovo in frigo o le verdure che la stagione propone per guarnire la pizza (fette di pomodoro fresco, funghi, prosciutto, olive, capperi, peperonata, spinaci, ecc. ) in base a quello che trovo ne preparo tre teglie con diversi gusti e ingredienti!

Preparazione:

per prima cosa sciogliete il lievito di birra in una tazza (circa 300 ml) di acqua tiepida (non deve essere calda perché si rischia di vanificare l’effetto lievitante del lievito), assieme ad un cucchiaino di zucchero.
Mettete la farina (o di due tipi di farina) in una terrina ampia e aggiungete alla farina una presa di sale (a seconda di quanto salata volete la pasta, dosate il sale a vostro piacimento), quindi un cucchiaio grande di olio evo, e l’acqua in cui avete sciolto il lievito e lo zucchero. Girate con una forchetta l’impasto fino a quando  non riuscite a lavorarlo comodamente con la mani. Se vedete che l’impasto risulta troppo secco aggiungete un altro po’ di acqua tiepida (o del latte fresco se preferite) oppure viceversa se l’impasto dovesse risultare troppo bagnato aggiungete dell’altra farina. Lavorate a lungo l’impasto con la mani (almeno per sette, otto minuti) fino ad ottenere una palla di pasta liscia e compatta.

 In questa fase mi faccio aiutare molto dai bimbi che manipolano la pasta con grande piacere e divertimento!

La pasta a questo punto va riposta nella terrina e coperta, io per accelerare i tempi di lievitazione metto la pasta in contenitore con chiusura ermetica. Bisogna quindi attendere almeno un’ora perché  la pasta raddoppi il suo volume, in ogni caso più tempo la lasciate lievitare meglio è. (io preferisco mettere a lievitare la pasta subito dopo pranzo per utilizzarla la sera)

Una volta atteso che la pasta sia lievitata si può passare alla lavorazione: l’impasto così ottenuto basta per infornare tre teglie da forno (tirando la pasta sottile, altrimenti se la gradite più spessa ne vengono fuori due).
Prendete un terzo dell’impasto e stendetelo per bene con un mattarello, quindi ponete l’impasto steso sulla teglia da forno ricoperta prima con carta da forno.
 Il forno deve essere preriscaldato a 240° in modalità ventilato (se ne avete la possibilità).

Prima di infornare farcite la pizza con la passata di pomodoro a piacere e un filo d’olio, se gradite mettete anche un po’ di origano essiccato o fresco.
 Infornate quindi per una diecina di minuti. Quando il sotto dell’impasto risulterà cotto (controllate  alzandolo un po’ con una forchetta, dovrà aver preso un colore appena dorato), tirate fuori la teglia e passate a guarnire la pizza con il formaggio e tutti gli ingredienti freschi che volete (tirate fuori la fantasia e fate scegliere anche ai bambini!), rimette la pizza in forno fino a quando il formaggio non si sarà fuso (ci vorranno altri 5, 7 minuti). E la pizza fatta in casa è pronta!.

Con l’impasto per la pizza potete preparare tantissimi piatti: torte salate, focacce, mini pizzette per un antipasto o per creare un’alternativa golosa alla pizza per i bambini, involtini con prosciutto e formaggio (squisiti), ecc.. !