Personalmente non ho ricordi di
veri e propri conflitti nella mia famiglia d’origine, non ho mai visto i miei
genitori discutere animatamente, non li ho mai visti litigare, sembravano
sempre essere d’accordo su tutto, una volta soltanto li ho sentiti parlare con
tono leggermente più elevato del normale (avevo probabilmente cinque o sei anni
al tempo) e subito dopo mio padre è uscito a camminare da solo, era sera, e la
cosa era davvero inusuale, ricordo perfettamente di essermi impressionata,
pensavo che fosse successo qualcosa di grave tra di loro, ma il giorno dopo si
sorridevano affettuosamente come sempre. Io e mia sorella ogni tanto
bisticciavamo e ricordo che mia mamma a volte si arrabbiava, ma questi piccoli
conflitti si risolvevano nel giro di pochi minuti e l’armonia tornava sovrana
molto presto. Ho chiesto a mia mamma (anche lei mamma a tempo pieno per scelta
durante la nostra infanzia) se ricordava delle particolari difficoltà
nell’accudirci tutto il giorno, io e mia sorella abbiamo soltanto un anno di
differenza e immagino che da parte sua possa esserci stata a volte della
stanchezza o dei momenti in cui non si sentiva “in sintonia” con noi bambine,
ma lei mi ha risposto che eravamo bambine piuttosto ubbidienti e che tutto
sommato ci comportavamo bene. La situazione
non è cambiata nemmeno durante la mia adolescenza: non nego di aver
messo in discussione scelte e atteggiamenti dei miei genitori, credo sia
normale, crescendo e maturando si comincia a dare voce alle proprie idee,
prendono forma le proprie convinzioni, il proprio modo di vedere la realtà e
giustamente non è scontato che questo modo di percepire la realtà sia uguale a
quella dei nostri genitori, però i conflitti e le discussioni in famiglia non
sono aumentati, ne sono diventati più difficili da “sedare”. Ricordo che mio
padre ogni tanto ci scriveva lunghe lettere per comunicarci qualcosa in merito
al nostro comportamento che lo aveva deluso o preoccupato, generalmente si
trattava di temi importanti come il rendimento scolastico o il modo in cui
volevamo trascorrere il nostro tempo libero, queste lettere terminavano anche
con una serie di condizioni per ovviare al problema sollevato. Questo modo di
comunicare però aveva grossi svantaggi: negava a priori il dialogo, era infatti
un tipo di comunicazione a senso unico, personalmente se non ero d’accordo con
quanto mio padre mi scriveva dovevo o rispondere alla lettera con un’altra
lettera o assumermi la responsabilità di avviare un dialogo in un secondo
tempo, anche se non ero stata io a volere il confronto. Non metto in dubbio la
buona fede di mio padre, probabilmente cercava di ricavarsi un po’ di tempo
mentre lavorava per scriverci, e mio padre lavorava davvero moltissimo, ma ora
sono davvero convinta che sarebbe stato meglio fare uno sforzo in più e trovare
comunque il tempo per dialogare. Durante il periodo del liceo ricordo che avevo
timore di confrontarmi con i miei
genitori, temevo infatti il loro giudizio e di rovinare l’armonia famigliare,
mi dispiaceva molto vedere contrariati i miei i genitori ed ero convinta che a
loro dispiacesse discutere su questioni, valori o convinzioni che magari davano
per scontato essere condivisi anche da me. Questo mi ha portata a volte a fare
le cose di nascosto e evitare le discussioni anche a costo di non far
presente quello che realmente volevo o pensavo.
Oggi che sono mamma e moglie ho
capito che i conflitti e le discussioni non sono solo normali ma sono anche
importantissimi. Ci ho messo un po’ per arrivare a questa conclusione, all’inizio
del mio matrimonio discutevo spesso con mio marito, abbiamo avuto bisogno di un
po’ di tempo per trovare il nostro equilibrio, per capire cosa ci aspettavamo
quotidianamente l’uno dall’altro e per capire che “aspettarsi qualcosa
dall’altro” senza comunicarcelo era assurdo. Ognuno di noi ha fatto esperienze
diverse, ha gusti diversi, ha una sensibilità diversa, è davvero pericoloso
dare per scontato che gli altri possano capirci al volo e ragionare nello
stesso modo nostro, eppure sia con il partner sia con i figli (piccoli e
grandi) commettiamo spesso questo errore: ricordo che davo per scontato che mio
marito mi aiutasse nelle incombenze domestiche, dopotutto lavoravamo entrambi
lo stesso numero di ore e vivevamo nella stesa casa, ma per lui non era così ovvio,
veniva da un’esperienza famigliare diversa dalla mia in cui la gestione della
casa non era mai stata una responsabilità ne sua ne di suo padre, solo quando
abbiamo parlato senza “incisi” e senza accuse reciproche il problema è stato
risolto: ho fatto presente la mia difficoltà nel gestire casa e lavoro assieme,
la mia stanchezza ed ho chiesto aiuto, i compiti alla fine sono stati equamente
divisi a tavolino. Ricordo che quando la mia prima bambina è arrivata alla fase
dei “terribili due anni” mi sono posta spesso il problema di come risolvere i
piccoli conflitti che nascevano quotidianamente, sapevo che non potevo
pretendere che lei capisse sempre perché alcune cose non mi andavano, o perché
le ritenevo pericolose, dopo un ascolto attento mi rendevo conto magari che la
sua logica filava eccome, anche se non era la mia logica, ma quello che mi
colpiva era la convinzione e l’energia con cui mia figlia mi diceva “ io
voglio!”, da un certo punto di vista ne ero affascinata, io non ricordo di aver
mai puntato i piedi dicendo con tanta convinzione “io voglio”, ne da piccola ne
da adulta, ho cominciato a pensare a tutte le volte che ho soffocato quel “io
voglio” fino a dimenticarlo. Non è sbagliato far presente i propri desideri e
la propria volontà anche se vanno contro i desideri delle persone con cui
viviamo o lavoriamo o ci relazioniamo, se ne può parlare e discutere anche con
passione, sbagliato è nascondere i nostri desideri o peggio i nostri bisogni
per paura di essere giudicati o meglio di non essere comunque accettati e allo
stesso modo è sbagliato gestire la discussione e il conflitto in modo non
costruttivo e quindi giudicando, colpevolizzando o peggio arrivando a imporsi
prevaricando l’altro (urla e violenza).
Vorrei che i miei figli crescendo
non perdessero la fiducia che adesso ripongono in me, adesso infatti si fidano
a tal puto della loro mamma (e del loro papà) che manifestano i loro pensieri e
i loro desideri senza porsi nessun problema, non temono di essere giudicati,
non temono di avere desideri “sbagliati”, non temono un rifiuto alla loro
richiesta perché se anche ci fosse non sarebbe un rifiuto alla loro persona.
Vorrei fare un esempio: uno conflitto comune in tante famiglie è quello che
riguarda l’ordine, probabilmente molti
di noi hanno sentito o fatto un discorso di questo tipo :” senti, non è
possibile che ogni santo giorno io debba raccogliere la tua roba sporca da
terra, che debba rifarti il letto e riordinarti la stanza, non sei proprio in
grado di tenere in ordine le tue cose?
Mai un volta che ti degni di fare
qualcosa senza che debba chiedertelo almeno cento volte!” Ovviamente il
genitore (ma potrebbe essere anche un partner che si rivolge all’altro partner)
è molto infastidito e si rivolge al
figlio giudicando la sua capacità e accusandolo per il fatto che non presta
abbastanza ascolto alle sue richieste , in questo modo la prima reazione del
ragazzo non sarà certo una riflessione sul fatto che il genitore ha
ragionevolmente bisogno della sua collaborazione piuttosto proverà un istintivo
sentimento di stizza e di rabbia che farà passare tutto il resto in secondo
piano. Lo psicologo Thomas Gordon e il terapeuta Jesper Juul sono convinti che
qualsiasi discussione possa essere resa più serena e proficua per entrambe le
parti parlando in prima persona e
manifestando con chiarezza i propri desideri, in questo modo si evita non solo
di giudicare ma anche di accusare e si ottiene generalmente almeno l’ascolto.
Se nell’esempio di prima riformuliamo il discorso del genitore usando solo la
prima persona l’effetto cambia moltissimo per chi ascolta: “ sono molto
infastidito! Ogni giorno devo raccogliere le tue cose sparse per terra e
riordinare la tua camera, ho molte altre faccende da sbrigare e sinceramente
vorrei che delle tue cose te ne occupassi personalmente, per me sarebbe davvero
un grosso aiuto, credi che possiamo accordarci su questo?” Anche in questo caso
il genitore è infastidito (lo dice chiaramente), fa presente con chiarezza
quello che lo disturba e chiede senza nessuna accusa o giudizio la
collaborazione del ragazzo. Questo modo di parlare è ancora più importante
quando ci rivolgiamo ai bambini più piccoli, per loro le parole hanno un peso
enorme. Ancora un esempio:” io sono stanca adesso, non ho voglia di giocare in
questo momento, voglio riposare un pochino e poi giocheremo assieme!” (Discorso
in prima persona, chiaro e senza accuse) invece di:” adesso basta! Non mi lasci
mai in pace un attimo! Devi capire che quando ti dico no è no! “ il discorso è
pretenzioso e poco chiaro, il genitore non vuole ammettere con il figlio che
non ha voglia di giocare con lui, preferisce attaccare verbalmente e chiudere
la discussione senza fornire una vera e propria spiegazione, ma il bambino in
questo caso si sentirà rifiutato senza motivo e giudicato solo per il fatto che
ha chiesto alla mamma di giocare, invece nel primo esempio il bambino
probabilmente sarà deluso dal fatto che deve attendere per giocare con la mamma,
ma non si sentirà rifiutato né giudicato per aver chiesto. Per me capire
l’importanza di esprimersi in prima persona e in modo efficace è stata una vera
rivelazione, magari per molti può essere ovvio e scontato, ma personalmente ho
apprezzato i miglioramenti che questo piccolo accorgimento ha portato nella mia
vita quotidiana, la gestione dei piccoli grandi conflitti con i miei bambini è
diventata molto più semplice, in questo modo infatti non solo ottengo molto più
ascolto ma spesso le mie richieste sono accettate di buon grado. Vorrei
concludere con una citazione dal libro “ Eccomi! Tu chi sei?” del terapeuta
famigliare Jesper Juul, edito da Feltrinelli:
“Un conflitto nasce quando due
persone vogliono due cose diverse. Siccome non succede spesso che due persone
vogliano la stessa cosa nello stesso momento, raramente in una famiglia mancano
i motivi di conflitto. Fortunatamente i bambini, come del resto gli adulti,
sono per lo più in grado di coordinare i loro desideri e i loro bisogni con
quelli degli altri. Ma questa capacità di adattamento presuppone che i nostri
bisogni individuali non vengano screditati per il fatto che in questo momento
sono diversi o contrari rispetto a quelli degli altri. Se criticati viene meno
la capacità di collaborare con la comunità, di dire il nostro Sì senza riserve.
Possiamo solo sottometterci e la sottomissione è sempre limitata nel tempo, e
limitante.”
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